INTERVISTE

Valentina Lupi si racconta [INTERVISTA]

Valentina Lupi, giovane cantautrice di successo, con anni di gavetta alle spalle in cui apre i concerti di artisti del calibro di Bandabardò, Tiromancino, Afterhours…

Valentina Lupi, giovane cantautrice di successo, con anni di gavetta alle spalle in cui apre i concerti di artisti del calibro di Bandabardò, Tiromancino, Afterhours, dopo aver calcato palcoscenici importanti come quello del Primo Maggio di Piazza San Giovanni di Roma e dopo la realizzazione di due dischi, torna con un nuovo ep: “Partenze Intelligenti” (Goodfellas), un disco che parla dei piccoli drammi e delle grandi gioie che attraversano la vita di tutti noi.

– Ci racconti un po’ la genesi del tuo ep “Partenze Intelligenti”?

L’ep è nato in maniera piacevolmente casalinga, tra una caffè è una chiacchierata con Matteo Scannicchio, mio amico d’infanzia e presenza fissa nei miei dischi, co-autore e co-produttore del disco insieme a Maurizio Mariani. È un album nato da tantissime chiacchiere e confidenze, in maniera spontanea e naturale, senza scadenze, pressioni, con estrema leggerezza. Parlo di amore così come parlo di guerra: in Reduci ad esempio, in parte autobiografica, paragono la fine di una storia d’amore allo stato d’animo che ha un reduce di ritorno da un’atroce guerra, perché è così che mi sono sentita in un momento della mia vita e ho pensato, spinta molto anche da Matteo, che mettere nero su bianco queste sensazioni fosse il modo migliore per scrivere questo ep. Inoltre sono molto fortunata ad avere una band di amici oltre che colleghi, formata da Puccio Panettieri alla batteria, Maurizio Mariani al basso, Matteo Scannicchio al piano e Giorgio Maria Condemi alla chitarra, con cui mi sono divertita moltissimo a suonare sia questo disco dal vivo e sia a riarrangiare alcuni dei miei vecchi brani.

– Che ne pensi della canzone come forma di protesta?

La protesta è sempre provenuta dall’arte. Pensiamo alla pittura per esempio, anche se forse la musica è una forma d’espressione più diretta in questo senso, anche più del cinema probabilmente. È più universale. Quindi sì, penso che se un uomo, una donna, ancor di più se artisti, sentano la necessità di dover lanciare determinati messaggi, possano e debbano farlo. Penso a Battiato quando cantava Povera Patria, per esempio, ma anche in generale quando parla d’amore: lui è proprio l’esempio massimo del modo pazzesco, elegante e rivoluzionario in cui si può parlare di certi temi nelle proprie canzoni.

– Cosa significa per te essere una musicista indipendente?

Significa essere una piccola imprenditrice di me stessa. Non è stato sempre facile, spesso ho fatto anche altri lavori per potermi permettere la totale autonomia economica che mi ha permesso di fare musica nella maniera più pura e limpida possibile, senza seguire i diktat di nessuno. Mi è capitato in passato di aver avuto più di un’opportunità di entrare a far parte di una major e ad oggi non so dirti se sono stata troppo forte o troppo poco forte nel decidere ogni volta di declinare l’offerta. Con questo non voglio certo dire che non mi piacerebbe un domani entrare a far parte di un sistema musicale più ampio, per così dire, ma mi piacerebbe arrivarci rimanendo sempre me stessa e soprattutto rimanendo con la famiglia di persone con le quali ho sempre realizzato la mia musica.

– Tu sei una cantautrice che scrive le sue cose in italiano. Che rapporto hai con la nostra lingua?

Ho un forte rapporto di appartenenza. Sono cresciuta ascoltando il cantautorato italiano e tuttora, quando ascolto Fossati, per dire, penso che non sarei capace di esprimermi diversamente. Scrivo in italiano perché è una lingua preziosissima e meravigliosa, in cui ci si può esprimere attraverso immagini che altre lingue non riescono a creare. Penso che pochi cantanti italiani possano davvero permettersi di cantare in inglese, una su tutte è Elisa, per esempio, che lo parla come parla la sua lingua madre. Se lo facessi io, probabilmente farei la fine di Mal in Pensiero d’amore!

– Che ne pensi del crowdfunding come forma di finanziamento ai dischi?

Non lo condanno come fanno in molti, anzi, penso non ci sia collaborazione più democratica di questa, di tante persone che si mettono insieme per finanziare un progetto in cui credono, dell’artista che stimano. Un certo tipo di discografia tradizionale ha fatto più male che bene alla musica negli ultimi anni, quindi ben vengano queste nuove forme di finanziamento limpide e senza filtri. Penso che il crowdfunding sia un’evoluzione tecnologica buona ed efficace, che ha aperto tante porte a tanti musicisti validi ma che non sempre possono sostenersi da soli economicamente, quindi sono assolutamente a favore.

– Una collaborazione impossibile che ti sarebbe piaciuto fare in un’altra vita?

Con Jeff Buckley, sicuramente. Ogni volta che penso al segno che ha lasciato a generazioni di musicisti un artista così rivoluzionario e che è morto così giovane, mi vengono i brividi. È incredibile l’impronta che ha lasciato nel panorama mondiale con la pubblicazione di un solo album, che mi emoziona ogni volta di più ad ogni ascolto.

Francesca Amodio