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Marco Sanchioni: la mia riscossa spirituale e rock [INTERVISTA]

Marco Sanchioni è un cantautore originario di Fano, con all’attivo diversi album di pregio, tra cui: “La pace elettrica” ed il più recente “La riscossa del cuore”. Album con “un’anima profonda”, che nascono dal desiderio dell’artista di esprimersi attraverso la musica con un occhio critico verso la società, analizzandone le dinamiche in cerca di una via d’uscita verso la libertà. Dove il ruvido rock riesce a fondersi con la più sottile ricerca spirituale.

– Buongiorno Marco, benvenuto su Qube Music. Partiamo subito con spirito diretto e rock, raccontaci tutto su di te!

Tutto è cominciato molto presto. Da bambino, avevo 5 o 6 anni, amavo ascoltare la musica con il mio mangiadischi e solitamente cantavo con i 45 giri che facevo girare. Il mio primo idolo d’infanzia fu il cantante francese Claude Francois, conosciuto quando andavo a trovare mia nonna a Parigi.  Trovando nel canto così tanta ispirazione, cominciai a partecipare ai vari festival canori della mia zona. Incisi pure un 45 giri per bambini. Poi dopo varie scoperte ed ascolti tra cantautori e classici del rock, ho compreso che potevo sviluppare un mio linguaggio personale, così a 17 anni fondai la mia prima band, gli A number two, con cui incisi due demo tape ed un EP per una etichetta romana. Dal ’92 in poi ho cominciato il mio percorso solista, producendo inizialmente tre demo tape. Il primo album “Mite” arriva nel 2002, il secondo nel 2012. Nei dieci anni intercorsi ho partecipato a varie compilation con un buon numero di concerti al seguito. Successivamente ho pubblicato altri tre lavori, l’ultimo dei quali nel 2022. La musica dunque mi ha sempre accompagnato ed ancora segna il mio percorso di vita.

– “La riscossa del cuore” è il tuo ultimo album. Quando è nata l’idea per questo progetto e come si è sviluppata nel tempo?

Nel 2020 poco dopo la pubblicazione de “La pace elettrica”, il mio quarto album, avevo alcune idee in testa da mettere nero su bianco. Ciò che poi è successo ha cambiato le carte in tavola e nuove idee sono sorte. In verità non ho incominciato subito a scrivere nuovo materiale, una volta iniziato il lockdown. Dunque i primissimi mesi pandemici a me sono serviti per decomprimere e realizzare bene cosa stava accadendo. Solo nel settembre 2020 ho cominciato a scrivere le nuove canzoni che arrivavano veloci, ispirate ma anche critiche rispetto il vissuto del momento. Nell’arco di poco più di un anno, nonostante le difficoltà legate alle varie restrizioni che tutti noi abbiamo vissuto, il disco era fuori.

– Qual è il messaggio presente nell’album e nei tuoi lavori in genere?

Non amo lanciare particolari messaggi con le mie canzoni, o meglio, non mi preoccupo di farlo. Scrivo quando sono ispirato cercando la forma più adatta per esprimere ciò che mi va, tra vissuto ed osservazione. Nel caso dell’ultimo album volevo dare una visione critica ma anche spirituale rispetto il vissuto degli ultimi anni e, ad esempio, “La verità”, il primo estratto del disco, cerca di unire questi due aspetti, come anche altri brani.

Mi viene in mente una frase di Michael Stipe dei REM dove in una intervista disse una cosa del tipo “quando ciò che scrivo arriva e tocca chi mi ascolta afferrando ciò che volevo realmente dire, è lì che realizzo e trovo il senso di quello che faccio”. Io, nel mio piccolo, non posso che condividere questo pensiero.

– Ti senti più cantautore o più rock?

Ho un background che tocca sia il bagaglio cantautorale che quello pop-rock, ma direi che pendo un poco di più verso il secondo. Ho ascoltato gruppi come Beatles, Led Zeppelin, Deep Purple, REM, Husker du, Smiths, Thin White Rope, Eels, Pink Floyd, Joy Division, Bauhaus, varie altre band punk ma anche metal. Assieme, quasi in parallelo, ho scoperto i vari Guccini, De André, Lolli, De Gregori, Finardi, Gaber, Tenco. Con gli A number two scrivevo canzoni pop-rock in lingua inglese. Inizialmente le prime composizioni in italiano erano, anche musicalmente, vicine al cantautorato classico. Ma poi decisi che potevo unire la liricità italiana con un suono rock ed è su questo stile che sostanzialmente nel tempo ho impostato le mie composizioni.

– Domanda d’obbligo, dato il periodo. Siamo in pieno svolgimento del Festival di Sanremo. Tu seguirai la kermesse canora e cosa ne pensi?

Sono anni che non la seguo, se non sporadicamente e senza particolare attenzione. Credo che una kermesse come Sanremo abbia la grave pecca di non valorizzare più, come dovrebbe, la musica e le canzoni partecipanti, cosa che vale anche per i vari talent. Da anni mi sembra che sia più che altro un baraccone di gossip, moda e chiacchiericcio mediatico vario, dove i brani in concorso passano in secondo piano. E se una volta poteva alimentare un’industria discografica allora fiorente, anche sotto questo aspetto oggi non mi pare abbia grande senso realizzarlo, se non per probabili motivi legati allo share televisivo.

– Hai tra i cantanti in gara qualcuno che senti affine al tuo modo di fare musica?

Ho dato una occhiata ai partecipanti e l’unico nome a cui mi sento più vicino è quello dei Negramaro. Tanti non ne conosco ed altri non m’interessano. Devo ammettere che in passato ho avuto la curiosità di vedere sul palco dell’Ariston nomi come Afterhours, Marlene Kuntz, La Crus, tutti artisti legati all’indierock italiano, che mai anni prima avremmo immaginato al Festival.

– Scegli tra i tuoi tanti progetti, tre singoli o album che consiglieresti al nostro pubblico…

Beh, tra gli album consiglierei “La pace elettrica” e “La riscossa del cuore”, gli ultimi due che ritengo i migliori. Tra i singoli “Pianeta meraviglioso”, “La verità” ed anche l’ultimo estratto “Il vecchio mondo”, il tutto reperibile sulle piattaforme digitali.

 – Su cosa stai lavorando di nuovo? E quando prenderà luce?

Ho già delle canzoni pronte e presto metterò mano ad altri brani, alcuni nel cassetto da tempo ed altri completamente nuovi, che andranno a formare il nuovo album che non so bene quando vedrà la luce, ma è ormai di fatto in cantiere.