Nella perenne crisi della cultura non sono solo le produzioni delle opere a pagarne il prezzo… sono anche le opportunità di diffusione e la qualità della critica deputata alla celebrazione o alla condanna delle stesse. Come a dire che oggi raramente si incontrano firme capaci di capirne davvero, capaci di consigliarti nel migliore dei modi, capaci di scrivere con contenuti da ritenersi – davvero – autorevoli… insomma, firme di chi è capace di non decadere nel saccente ruolo della critica di chi tutto sa e tutto deve – purtroppo – insegnare. Giornalista, scrittore, ma soprattutto un amico. Da poco tornato in libreria (questa volta per mano della Mimesis Edizioni) con un lavoro dal titolo “La Filosofia dei Genesis: voci e maschere del teatro rock”. Un libro che esamina e scolpisce la metamorfosi che ha condotto la musica dal vivo a divenire teatro di scena, una rivoluzione attraverso i costumi e le maschere, attraverso le opere e i nomi di chi ha reso immortale un’epoca che ancora oggi contamina la produzione discografica dei più giovani. QUBE GENERATION incontra Donato Zoppo cercando di non sprecare neanche un istante di tempo, neanche un appiglio a quel che è rimasto di bello e di vero in questo grande e meraviglioso mestiere che è la Musica:
– Di sicuro la prima domanda nasce spontanea: cosa ti ha spinto a scrivere un libro mirato proprio a quegli anni della carriera dei GENESIS?
Era un vecchio pallino, d’altronde non avevo mai scritto nulla sui Genesis, se non indirettamente ma all’interno di una cornice più ampia, quella della storia del progressive-rock che ho raccontato nel mio libro “Prog. Una suite lunga mezzo secolo” (Arcana, 2011). L’esperienza storica del progressive è stata un momento di grande novità e innovazione in campo rock: nelle connessioni musicali, nelle tematiche, nelle copertine, nei concerti, e i Genesis dal vivo hanno aggiunto una inventiva prorompente realizzando un esempio straordinario di teatralità rock. Ho voluto fare un’indagine tra le motivazioni, le caratteristiche e gli sviluppi artistici del teatro rock genesisiano, incarnato nella figura di Peter Gabriel, con le sue maschere, i suoi costumi e il suo carisma sul palco.
– Tra l’altro incuriosisce come si parli di un simile argomento tra le pubblicazioni della MIMESIS Edizioni… forse una delle più importanti case editrici in ambito filosofico e antropologico. Che incontro è stato?
Era l’editore ideale per un saggio del genere: seguo da tempo le sue pubblicazioni, poi mia moglie da laureata in filosofia ha centinaia di volumi Mimesis, era una presenza familiare a casa (ride)… Mimesis ha una bella collana chiamata “Musica Contemporanea”, saggi tascabili ed economici che esplorano alcuni aspetti tematici di grandi nomi della musica contemporanea, da Robert Wyatt ai Queen, da Miles Davis a David Sylvian, passando per Zappa e Eno. Non potevo trovare posto più adatto dove accasarmi…
– Un testo che affronta 5 anni ed un certo modo di rivoluzionare il concetto del live e dello spettacolo. Ma oltre ai Genesis chi altro sei andato a scomodare?
I Genesis non hanno “inventato” il teatro rock, hanno perfezionato e reso inimitabile un modulo espressivo inaugurato in maniera diversa da gruppi come Doors, Mothers Of Invention, Pink Floyd, Arthur Brown, Creation, Soft Machine, Velvet Underground, e interpretato con arguzia e trasgressione da David Bowie, coevo dei Genesis in questi esperimenti. Tutti i nomi che ti ho citato hanno rotto con l’idea scheletrica e “primitiva” del concerto come semplice performance, e hanno arricchito le loro esibizioni con elementi più o meno teatrali, dal light-show di epoca psichedelica al siparietto provocatorio e satirico alla Zappa. Con i Genesis, vincolati alla forza narrativa dei propri brani, il teatro rock si è arricchito di un’interpretazione attoriale, di una dimensione scenografica e costumistica eloquente. Anche i nostri Osanna hanno contribuito a questo fenomeno, infatti ho scomodato anche loro!
– Oggi la trasgressione, la scena e l’apparire in un certo cliché visionario è diventato un’arte diffusa, anzi oserei dire anche inflazionata e, soprattutto, realizzabile con pochissimi sforzi. Che tracce evidenti hanno lasciato quegli anni di cui parli nella musica contemporanea? In Italia in particolare? In altre parole, quali sono oggi gli eredi di quegli anni?
Se per teatro rock intendiamo qualcosa di puramente visivo, limitato all’allestimento da palco, al parco luci, agli effetti speciali, allora i Genesis hanno migliaia di eredi, ma non è questo il segreto del loro spettacolo dal 1971 al 1975. “Operette rock” come “Harold The Barrel”, “Get ‘Em Out By Friday”, “The Battle Of Epping Forest” ma anche immancabili evergreen come “The Musical Box” e “Watcher Of The Skies”, raccontavano delle storie fantascientifiche, mitologiche, di più o meno velata critica sociale, e per arrivare a destinazione avevano bisogno di qualcosa in più. Quel qualcosa erano le maschere di Gabriel, l’enfasi interpretativa e la mimica, luci, tendaggi e colori che creassero la giusta atmosfera. Da questo punto di vista, gli eredi sono pochi. Mi vengono in mente i Pink Floyd di “The Wall” ed è strano perché, anni prima che i Genesis salissero sul palco, Waters e compagni già sperimentavano cose tipo “The Man And The Journey”, prendendo il tè su un tavolo costruito proprio tra un pezzo e l’altro live… Con tanti distinguo, mi vengono in mente anche gli U2 dello Zoo TV Tour, con un allestimento avveniristico e cambiamenti visivi a seconda di ogni brano.
– E se Donato Zoppo salisse sulla DeLorean? In quale epoca musicale vorrebbe andare? Per conoscere chi? Che libro ne uscirebbe?
Mi piacerebbe andare nel futuro, tra una ventina d’anni, per vedere se i Rolling Stones ci saranno ancora, se ci sarà ancora l’idea di “album”, se ci sarà ancora il rock… Però devo cedere a un po’ di nostalgia, mi piacerebbe anche andare nel 1969 a vedere un concerto elettrico di Miles Davis, e già che ci siamo fare un giretto a Londra il 30 gennaio, a caccia di un tetto sul quale pare stiano suonando al freddo quattro ragazzotti…
P.T.