Simone Gianlorenzi, chitarrista umbro ormai adottato da tempo dalla Capitale, una carriera pluriennale densa di collaborazioni importanti che vanno da Anna Oxa a Gerardina Trovato, dai Gemelli Diversi ai Delirium, ci racconta la genesi del suo primo album di inediti dal titolo “About Her” (Maqueta Records 2015): quel “lei” si riferisce alla musica, alla sua famiglia e alla sua compagna, Stefania Orlando, senza la quale, afferma Simone, “questo disco non sarebbe mai uscito dal mio computer”.
– “About Her” è un disco importante perché venuto alla luce dopo anni di tua gavetta sopra e sotto i palcoscenici. È un disco in cui rendi omaggio ai grandi del rock che ti hanno sempre ispirato ma allo stesso tempo riscrivi a modo tuo quelle sonorità. Mi racconti la nascita di questo album?
Io suono da venticinque anni e faccio il chitarrista da diciotto, in tutte le sfaccettature di questo lavoro, che vanno dal mestiere del turnista a quello delle collaborazioni, fino all’insegnamento e alla scrittura su riviste specializzate. La lunga gestazione di questo disco è dovuta molto probabilmente ad un fattore di insicurezza, perché in realtà è un’idea che nel mio piccolo aveva già preso forma da moltissimo tempo ma che poi non ho mai portato avanti fino in fondo. Ora invece, che ho appena compiuto quarant’anni e ho voluto farmi questo regalo, a conti fatti mi rendo conto che probabilmente non è stato poi così male uscire con il mio primo disco in un momento della mia vita in cui ritengo di avere la maturità artistica necessaria per attuare un progetto così importante, quindi in realtà sono molto contento che questo album sia uscito proprio adesso. Devo ringraziare non solo me stesso ma Stefania, la mia compagna, che è stata determinante nel convincermi che fosse davvero giunto il momento. Ci siamo resi conto che molte persone mi conoscevano per il mio modo di riproporre cose di altri, per questo era ora che svelassi la mia, di identità musicale!
– Una delle cifre stilistiche dell’album riguarda la sua realizzazione: nell’era in cui un disco, volendo, si realizza anche da soli a casa, tu invece hai preferito la vecchia maniera, dedicando al tuo lavoro discografico l’attenzione e il tempo che meritava, chiamando a raccolta i tuoi amici, illustri musicisti, per farli collaborare. Come mai questa scelta?
Senza dubbio avrei potuto registrare il mio disco in pochi giorni, con altri tipi di mezzi che mi avrebbero permesso anche un risparmio economico non indifferente. Ma la verità è che io sono un nostalgico e un romantico, nasco tra quella che è stata la fine del vinile e l’inizio del cd, e soprattutto nasco come una persona che la musica non l’ascolta e basta, ma la vive, la tocca, la legge, e tutto questo mio modus operandi l’ho voluto riversare nel disco. Io sono molto legato insomma al disco come oggetto fisico, tangibile, per cui mi sono detto che magari, vista la tecnologia che avanza alla velocità della luce, questo sarebbe potuto essere il mio primo e ultimo album in forma fisica, quindi andava fatto come si deve.
– Il ruolo del produttore negli anni è molto cambiato. Se qualche decennio fa la creatività del musicista non così raramente veniva messa a tacere sotto la dittatura di un produttore, oggi le cose in questo senso sembrano aver preso una piega migliore. Confermi?
Assolutamente sì, il discorso sui produttori oggi è complesso perché il fatto che molti si improvvisino tali, solo essendo in possesso di un buon computer, implica che molto spesso siano obbligati a chiamare noi musicisti per chiedere disperatamente un valido apporto creativo al progetto in questione, e questo è chiaramente un bene per il musicista. Oggi non esiste più la parola “turnista” perché il musicista è considerato un artista, finalmente. Nella quotidianità di un musicista che oggi fa questo mestiere, succede di essere chiamati perché si deve dare un senso ad un brano che magari è solo voce e chitarra e che quindi va proprio ricostruito. In questo senso il musicista è un’importante parte integrante del processo artistico – creativo, rispetto invece ai veri e propri turnisti che ad esempio negli anni sessanta in Italia gravitavano attorno alla compianta RCA, per dire.
– Qualche tempo fa un importante critico musicale quale è Red Ronnie invitava all’ascolto del tuo disco elogiando il fatto che non fosse frutto di una partecipazione ad un talent show, che secondo il critico, altro non fanno che appiattire la creatività musicale dei giovani. Fossi stato oggi un ventenne, sarebbe stata un’opportunità che avresti preso in considerazione?
I talent show sono quelle vetrine sulla popolarità nazionale che attualmente nessun altro mezzo può darti, quindi avessi vent’anni oggi e una vocazione per il canto magari avrei tentato, perché no. Purtroppo, come diceva anche Red Ronnie in quell’occasione, oggi un giovane sconosciuto o passa da lì o non passa, pertanto piuttosto che non avere chances si preferisce averne perlomeno una. Se un tempo c’erano le case discografiche che facevano provini e audizioni, oggi il canale più potente in questo senso è sicuramente il talent, quindi più che condannarlo come fanno tantissimi, la considererei una realtà di fatto, non da disdegnare a tutti i costi. Se questo per un artista può rappresentare il “prezzo” da pagare per un’opportunità, nel momento in cui l’artista riesce forse ne sarà valsa la pena.
– Tu hai collaborato per molto tempo con un’importantissima rivista di settore qual è “Chitarre”, che ha chiuso i battenti di recente. Che tipo di avvisaglia scaturisce dal fatto che abbia chiuso una rivista musicale così importante?
Non voglio sembrare troppo catastrofico, ma il problema è che sono spariti i fruitori. Chiaramente in questo caso io mi sento toccato da vicino perché è un giornale che mi ha fatto crescere umanamente e artisticamente, che ha influito sulla mia formazione e quindi sono ancora più dispiaciuto dal fatto che evidentemente non ci sia più tanta gente interessata alla cosa. Sicuramente è un fatto che non stupisce considerando il rivoluzionario avvento dell’on line, nel senso che la recensione di un disco che leggo questo mese su Chitarre, sul web la si trovava già il mese scorso. Quindi secondo la mia opinione un certo tipo di stampa specializzata dovrebbe concentrarsi sul capire di più questo meccanismo e non tentare nell’impresa impossibile di stare al passo coi tempi del web, ma approfondire altre questioni musicali della medesima importanza. Estromettersi in questo senso dal flusso temporale, e concentrarsi su altro.
– In un mondo così digitalizzato, soprattutto per quel che riguarda il campo musicale, cosa consiglieresti ad un giovane musicista che vi si affaccia oggi?
Gli direi che il musicista vero si vede sul campo, quindi sul palco, e non su youtube. Gli direi di non lasciarsi ammaliare da un successo digitale che può essere effimero e illusorio, se poi quando vai a suonare in carne ed ossa non viene nessuno a sentirti. Molto spesso io stesso scorgo su youtube dei giovani talenti mostruosi, bravissimi, ma se questo talento non viene fatto scendere in campo e rimane fra le quattro mura domestiche rischia di perdersi. Quindi il mio consiglio ai giovani musicisti che hanno da poco incontrato l’amore per uno strumento è quello di uscire di casa e suonare, suonare quanto più possibile. Farsi la gavetta insomma, quella tradizionale, senza filtri. Un musicista deve emozionarsi e saper emozionare, cosa non possibile senza il contatto con un pubblico vero che è lì e ti ascolta.
– Quali sono i tuoi progetti futuri per “About Her”?
Il mio obiettivo è quello di organizzare sempre delle date ragionate e che abbiano un senso per me e per chi mi ascolta, ovvero in club non eccessivamente grandi dove ci sia un tipo di fruitore davvero interessato all’atto di ascoltare della buona musica e quindi mi interessa suonare in posti dove è possibile uno scambio di emozioni in questo senso. Non importa se a sentirti ci sono tre o trenta persone, l’importante è che siano lì per te. Devo dire che in questo senso le prime soddisfazioni sono arrivate, ricevo praticamente ogni giorno attestati di stima per il mio lavoro relativo al disco e feedback sempre molto positivi dagli addetti ai lavori e non. Sono particolarmente contento del mio ultimo concerto al Planet Live Club di Roma, in cui ho presentato il disco insieme alla mia band formata da Matteo Di Francesco alla batteria e Pino Saracini al basso, perché c’è stata proprio l’atmosfera di cui ti parlavo. In generale comunque, in pochissimi mesi ho guadagnato in autostima dieci volte di più di quello che ho speso economicamente per realizzare questo disco: non potrei essere più felice.
Francesca Amodio