È stato pubblicato lo scorso Aprile L’ultima festa, il tuo secondo disco come Cosmo, dopo Disordine del 2013.Cos’ha fatto Cosmo in questi anni? Pensi sia cambiato qualcosa nel tuo approccio alla musica fra un disco e l’altro?
In questi anni, oltre a diventare padre una seconda volta, ho fatto uscire un disco coi Drink to me (Bright White Light) e ho viaggiato in tour con loro per un anno. Poi ho prodotto dischi di altri (Policrom, Farmer Sea, L’Orso). Mi sono comprato un Juno 106 e un DX7.
In particolare l’esperienza coi Drink to me mi ha dato la spinta verso la cassa dritta. Abbiamo lavorato con Alessio Natalizia (Not Waving, Walls, Banjo or Frekout, in origine Disco Drive…) che mi ha fatto riscoprire il piacere dei synth e il gioco degli arpeggiatori. Mi sono sbloccato verso gli stilemi dance, techno. Mi sono riscoperto. Ho avuto la conferma definitiva della strada che volevo intraprendere dopo qualche giorno al Club to Club dello scorso anno. Guardavo quei musicisti, che scomparivano dietro alla loro musica, sentivo nel sangue l’atmosfera di un ritmo pestato, il rituale per nulla rock della musica da club e la relativa “freddezza” che poi in realtà è un fuoco, non so come spiegare. Mi sono sentito a casa.
Anche L’ultima festa è stato pubblicato con 42records. Quant’è importante secondo te essere seguiti dalla giusta etichetta?
È importante. Soprattutto se ti lascia libertà totale e se hai sempre comunque voce in capitolo nelle sue scelte. Non potrei lavorare con un’etichetta che mi lascia all’oscuro delle scelte, delle dinamiche promozionali e via dicendo. L’etichetta giusta è quella che si fida di te e di cui ti fidi tu.
Come nasce un testo? Scrivere cosa rappresenta per te?
I testi nascono dopo la musica. Se la musica mi smuove qualcosa dentro allora si innesca il processo creativo. Certe volte tutto viene fuori come un flusso di coscienza, altre ci vuole un lavoro più lungo, ma tutto deve veicolare un’emozione forte, vera. Se piango durante la lavorazione è un buon segno. Scrivere per me è un gioco di comunicazione, potrei farne anche a meno, credo. Non la sento come un’esigenza primaria. Ma è un gioco che mi piace perché mi permette di dar voce alle mie emozioni e alle mie elucubrazioni, per poi gettarle al pubblico e vederle mutare, rimbalzare, a volte morire.
Quanto della vita e delle esperienze di Marco Jacopo Bianchi c’è nei testi di Cosmo?
Tutto. La gomma della mia bici è davvero a terra dalla scorsa estate, per dire.
Ho avuto modo di assistere al live del Siren festival lo scorso Luglio. Com’è suonare in quel contesto?
Il festival in sé è una figata. Poi l’affluenza e la reazione del pubblico al mio live mi ha stupito e caricato. Ma come spesso accade in concerto, non avevo capito cosa era davvero successo. Poi ho visto qualche video con una prospettiva diversa e ho pensato che non dimenticherò mai quella sera.
Quando un live ti soddisfa? Che condizioni essenziali devono esserci?
Fino a quest’estate mi bastava ci fosse un tot di gente un minimo partecipe. Ora mi rendo conto che se ci vuole sempre tanta tanta gente, ma soprattutto presa bene, che balla, si lascia andare. Quest’estate mi sono abituato bene, diciamo.
Quali sono gli artisti italiani da tenere sottochio in questo momento? Quali trovi più interessanti e con chi ti piacerebbe collaborare?
A parte soliti nomi del “nostro giro”, che non serve nemmeno citare, ascolto solo un po’ di trap, recentemente. Mi piace soprattutto Ghali. Con lui farei qualcosa, si.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo tour nei club? Sorprenderai con effetti speciali?
Ho aggiunto alcuni brani del disco vecchio rivisitati in chiave dance. Spingono a volte più di quelli del disco nuovo! Ho concepito la scaletta come un dj set, con bpm crescenti e brani attaccati uno all’altro. Cerco di gestire meglio l’energia della scaletta. Poi si, c’è qualche piccola sorpresa.
Martina Marzano