INTERVISTE

Intervista a Giuseppe Fontanella di Octopus Records

Giuseppe Fontanella (chitarrista dei 24 Grana) ed io abbiamo più volte collaborato. In passato in maniera indipendente ed inconsapevole, durante alcuni festival. Con il tempo si è consolidata la nostra collaborazione ed anche la nostra amicizia. Fotografie e video in studio, l’esperienza del Sofar Sounds iniziata e portata avanti assieme, riprese di eventi live, nottate trascorse nei locali, produzioni e pre produzioni di band. Insomma entrare alla Octopus Records per me è un po’ come entrare in una seconda casa, o un secondo studio ed intervistare Giuseppe è come farci una chiacchierata ed aggiornarci un po’ sulle nostre vite, visto che andiamo entrambi sempre di corsa. Aggiungete il caffè sempre disponibile e l’ottima cucina di casa Fontanella, ecco il resoconto di qualche ora trascorsa finalmente assieme a parlare un po’ di noi.

Iniziamo dalle domande facili: quando e come è nata la tua etichetta e, soprattutto, qual è l’idea che ti ha spinto a farlo?

Octopus Records esiste ormai da 10 anni: io e Renato Minale (batterista dei 24 Grana) ci sentivamo pronti nel mettere a disposizione delle nuove leve gli anni di esperienza passati in sala di registrazione e sul palco, convinti che la conoscenza e l’esperienza senza la socializzazione siano inutili. Il nome è un omaggio a Syd Barrett, e dopo pochi anni abbiamo anche prodotto una compilation in cui erano presenti sue cover arrangiate attraverso vari generi musicali.

Aggiungo che, avendo già una sala di registrazione, personalmente avevo così la possibilità di seguire un progetto musicale dalla produzione artistica, alla registrazione, alla produzione discografica.

Da anni ormai Renato ha preso un’altra strada e le sorti dell’etichetta sono rimaste totalmente nelle mie mani…

– Quali sono le difficoltà che hai incontrato (e che eventualmente ancora incontri) nel produrre e proporre un artista?

Premetto che l’attività di un’etichetta indipendente oggi si confronta col passaggio dal supporto fisico alla musica “liquida”: fino a qualche anno fa la vendita dei supporti fisici era una voce fondamentale per il sostentamento economico di una label…ma purtroppo (e per fortuna) questa difficoltà fisiologica ha a che fare con lo sviluppo tecnologico e poco ci si può fare. Inutile sconfortarsi, basta inventiva e passione, cose queste che ho dovuto imparare ad allenare anche nel mio percorso da musicista.

Nello specifico, per quanto riguarda la produzione, e saltando i problemi poco sopra citati, dal punto di vista artistico le difficoltà le vedo come sfide: ogni volta si inizia da zero cercando di capire il progetto che si ha davanti e come dargli una mano a trovare la propria strada, immaginando per quanto possibile un percorso condiviso che sia appagante innanzitutto per la band che ci si appresta a produrre, e poi anche per se stessi e la propria etichetta.  Il ruolo del produttore lo vedo personalmente come un Giano bifronte: partecipe ed integrato nel progetto, ma dotato della capacità (con un po’ di esperienza) di guardare dall’esterno con uno sguardo d’insieme per capire dove ci si sta dirigendo. Chiaramente gestire questa chimica è complicato.

Le difficoltà poi, per quanto riguarda il tentativo di proporre i progetti prodotti, sono quelle che affronta una piccola label indipendente: la ristrettezza di spazi di promozione e l’assalto delle cover band nei gusti del pubblico, nella ricerca di spazi in cui far suonare musicisti che propongono progetti originali.

– Come vengono scelti gli artisti che entrano nella “scuderia” dell’etichetta?

Per lo più sono i progetti a proporsi all’etichetta. In alcuni casi, se c’è qualche progetto che attira la mia attenzione, sono naturalmente incuriosito ed assecondo da ascoltatore la sua evoluzione. Spesso viene poi tutto spontaneo, l’affinità musicale provvede al resto.

– Esiste un mercato che consenta ad un artista di vivere con i proventi della propria produzione musicale?

La speranza di far diventare la propria passione un lavoro c’è sempre, ma è sempre molto difficile. Quando succede ci si sente dei privilegiati, in musica come in altri ambiti lavorativi. Quello di sostenersi economicamente attraverso la propria passione è però spesso un’arma a doppio taglio: alcune volte si accetta di lavorare con un budget ridotto pensando di compensare il resto in “gloria”, lasciando spesso scoperto il fianco allo squalo di turno che cerca di approfittarne. L’obiettivo dei workshop per band emergenti che teniamo all’interno di vari festival estivi (per esempio lo Scampia Music Fest oppure il Meeting del Mare, ma anche il Reset Festival) in giro per la penisola, è anche quello di rafforzare e raddrizzare il senso di professionalità legato agli ambiti artistici.

– Quali sono le peculiarità della tua etichetta, e perché un artista dovrebbe sceglierla?

Non mi illudo che la Octopus Records abbia caratteristiche uniche nei confronti delle altre realtà indipendenti italiane, ma cerco di basarmi su principi che reputo però necessari per una etichetta del mio tipo. Penso infatti che provare a competere con le Major sul loro terreno sia chiaramente perdente, mentre ho cercato di individuare le peculiarità che una label come la mia dovrebbe coltivare: un forte senso di appartenenza ad un progetto comune, ad una piccola grande famiglia, favorendo anche collaborazioni all’interno dell’etichetta. A tal scopo, ad esempio, metto gratuitamente a disposizione per le band la mia sala di registrazione, sperando che diventi una fucina per future collaborazioni ed incroci tra esse.

Un esempio di quanto dico lo troviamo nella compilation su Syd Barrett di cui parlavo prima: abbiamo per l’occasione avviato un progetto, denominato “Mad Hatters Project”, di cui hanno fatto parte, oltre me alla chitarra, Renato Minale alla batteria, Alex (bassista di una band dell’etichetta) al basso e Libera Velo (cantautrice che ha pubblicato due dischi con la nostra etichetta) alla  voce principale.

Davide Visca