Sono diversi anni che la strada di Johnny DalBasso e la mia si incrociano, a partire dal palco di Marigliano (NA), nell’anno 2012, dove Johnny suonava in duo, con i suoi immancabili occhiali da sole, alle tre del pomeriggio con quaranta gradi e tutto ciò che ne consegue a livello olfattivo, alle esibizioni nei locali di Napoli e provincia, ai vari festival, fino alla registrazione del suo primo album JDB e la realizzazione del videoclip “Spara”, primo singolo dell’album, ed ancora festival ed esibizioni dal vivo.
Per questo, quando Qube Music ha chiesto chi volesse intervistare Johnny DalBasso, in occasione della pubblicazione del suo nuovo lavoro discografico “Cannonball”, la mia risposta istintiva è stata: “io”!
– Iniziamo dalle cose basilari: sei al terzo album, qual è la motivazione che ti ha spinto a metterti ancora in gioco, ancora in discussione?
Per prima cosa voglio salutarti e abbracciarti, dato che siamo amici almeno da un lustro, dopodiché ritorno subito alla tua domanda: il motivo che mi ha portato a fare un terzo disco è che avevo un terzo disco da incidere, nel senso che avevo canzoni ispirate, complete, unite da un filo rosso ed, essendo ancora legato alla forma “vintage” di supporto audio, ho pensato di racchiudere tutto in un nuovo lavoro discografico. Dovevo dire la mia su certe cose, e invece di dirla l’ho urlata. In realtà sto già lavorando al quarto, ma di questo avremo occasione di parlarne più in là.
– Hai deciso di includere nel nuovo disco “Micidiale” (versione di cui io custodisco gelosamente il 45 giri) e “Furore” di Adriano Celentano – in una tua versione particolare, questo mi fa pensare che tu sia ancora molto “incazzato”. In questo caso qual è il soggetto della tua “incazzatura”?
L’incazzatura, vera e presunta, è una sorta di cliché di certi generi musicali che mi ha sempre fatto sorridere ed affascinato. Gioco molto con il mio lato “incazzoso”, diciamo così, e spesse volte lo seguo, soprattutto in fase creativa, essendo portavoce della mia parte più istintiva e quindi più vera. In questo disco il soggetto è il lato meno aulico dell’amore e del rapporto di coppia in generale, quello fatto di piatti che volano, di incomprensioni e della voglia che spesse volte si ha di perseverare in un rapporto anche quando, come disse il poeta, non c’è futuro.
– Leggenda narra che la pre-produzione del disco sia stata completata in soli due giorni. Questo, a mio avviso, manifesta l’urgenza di liberarsi di qualcosa. Te ne sei liberato alla fine?
In realtà la registrazione del disco inteso come base “Chitarra-basso-batteria” è durata due giorni. Stavolta la pre-produzione è stata più lunga, dato che ho dovuto risistemare nel frattempo la mia vita personale e mantenere vivo tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento. Entrando in studio mi sono liberato di tutto: pessime amicizie, rapporti fallimentari e vecchi fantasmi… C’è chi va in terapia, chi fa joga, io registro (niente da dire a chi è in terapia, fa joga e registra allo stesso tempo eh!).
– In occasione della pubblicazione di “Cannonball” partirà anche un tour, in questo caso in trio. Sebbene ti sia già esibito in formazioni diverse dalla “one man band”, come mai hai deciso di fare questo percorso non in solitaria?
Io sarò sempre un one-man band, nel senso che ciò che suono è già completo nella mia testa. In questo disco mi sono occupato di tutta la produzione, quindi l’attitudine one-man band rimane. Volvevo far crescere il mio sound e per farlo mi serviva un batterista incredibile, cosa che io non sono, ed ho incontrato Gianluca Tilly Terrinoni, con cui ho registrato tutto Cannonball. Eravamo partiti come power duo ma mi sentivo ancora chiuso nello schema che avevo creato nei primi due dischi, così, dopo tanti tentativi con bassisti con milioni di attestati ma senza attitudine, ho chiesto al mio amico Antunzmask di suonare il basso e da lì non c’è stato più nulla da aggiungere, il mio perfetto ora è questo.
– Una cosa che ho sempre voluto chiederti, ma poi me ne sono sempre dimenticato: come avviene il processo di composizione dei tuoi brani? Nasce poco alla volta per poi manifestarsi lentamente nella penombra della tua stanza, oppure nasce da una improvvisa intuizione che confluisce in un fiume in piena?
Non mi sono mai seduto a scrivere, posso dirti solo questo.
– Quali sono attualmente i tuoi rapporti con il karma?
Oggi migliori, dato che, guardandomi intorno, credo di essere diventato una persona, alla fine, abbastanza equilibrata. Cerco di far stare bene le persone che mi circondano e di aiutare le persone che incontro nella mia vita e che, in modi diretti o no, mi chiedono aiuto.
– Ricordo che una sera, fra il serio ed il faceto, dicesti che per te suonare è un po’ come l’autoerotismo. È ancora così?
Era perché con la one-man band un po’ te la suoni e te la canti, adesso suoniamo in tre quindi ora suonare è come una threesome.
Indossi ancora il cravattino nero durante i concerti, oppure il concetto di dualismo operaio che parte dal basso per evolversi, ha completato la sua funzione?
Il concetto di “dal basso” oggi per me è più vivo che mai, ma ho annullato qualsiasi riferimento estetico o immagine stereotipata nel mio abbigliamento perché mi sono accorto che ciò distoglie dalle canzoni. Il mio voler interpretare la crisi della piccola borghesia e dei colletti bianchi con la mia divisa è stata spesso fraintesa quindi stavolta a parlare sarà solo la musica. Maglietta nera e chitarra rossa andranno più che bene per questo tour, altro stereotipo ovviamente (ahah).
– Un’ultima domanda, ma solo per alimentare la mia vanità: la fotografia contenuta nel booklet del primo album “JDB”, è ancora la tua preferita?
Ovvio!
Intervista e Foto: Davide Visca