INTERVISTE

Il giro del mondo con Valeria Caucino [INTERVISTA]

A QUBE GENERATION ospitiamo l’esordio di Valeria Caucino dal titolo “At the break of dawn”. In rete il video ufficiale “Over the pain”

Anni di gavetta, collaborazioni, dischi e progetti di omaggi e rivisitazioni. Valeria Caucino approda dopo tutto questo alla pubblicazione di un suo lavoro personale che intitola “At the break of dawn”. Incantesimo sottile che bilancia in un unico suono il gusto estetico della forma canzone romantica e leggera al potere visionario di sconfinata bellezza. Sceglierebbe certamente un paesaggio naturale – di quelli usciti in qualche meraviglioso documentario naturalistico – per rappresentare tutta la sua musica…ed in parte ce lo ha dimostrato con il video del suo singolo “Over the pain” che racchiude in tutti i suoi 3,13 minuti l’essenza e l’energia di un lavoro che della nostra bella Italia ha solo e soltanto l’origine di Lei che lo ha scritto, pensato e prodotto. Con base in Irlanda, pronti a fare il giro del mondo…occhio che nessuno dei porti che visiterete ha nomi e forme conosciute al grande mercato.

– Come si giunge alla decisione di scrivere per se stessi? Perchè ora questo disco?
Dopo alcuni dischi di cover e altri in cui ho collaborato o ero semplicemente ospite, avevo il desiderio di realizzare un lavoro solo mio, e credo che il tempo fosse maturo per farlo. Nel cassetto avevo qualche brano scritto da me, ma non era sufficiente, così ho chiesto a diversi amici musicisti di poter interpretare loro composizioni inedite. Il disco è nato così, cercando di dare ad ogni pezzo una sua unicità, ma al tempo stesso legandoli tutti da un filo conduttore rappresentato dalla mia voce e dalla chitarra. Credo di aver trasferito nell’album quello che è il mio background e le varie esperienze musicali sviluppate negli anni passati, il folk americano soprattutto, e in parte anche la musica irlandese.

– Dovessi pensare ad un paesaggio o ad un’immagine… che tipo di quadro sarebbe?
Sarebbe un paesaggio naturale, una verde vallata fiorita, tra alte montagne e freschi torrenti che scintillano al sole.

– Come può nascere una musica simile da una cultura italiana?
Pur ascoltando e amando i grandi cantautori italiani, la musica da cui ho sempre attinto per il mio repertorio live è principalmente il folk del Nord America, soprattutto quello degli anni 60 e 70 e questa, inevitabilmente, ha condizionato il mio modo di scrivere, di cantare e di suonare anche brani nuovi. Originariamente composte in stili ed epoche diverse, da persone differenti, le canzoni dell’album, tutte in lingua inglese, hanno così assunto connotati propri, trasformate in qualcosa che non ha quasi più nulla a che fare con la cultura italiana da cui in effetti erano nate.

– Dal folk america in rosa, da chi e da che tempo hai attinto lo spirito per contaminarti?
Ancora una volta vorrei citare gli anni 60 e 70 e le grandi star di quello che fu un periodo d’oro per il folk, dall’icona pacifista per eccellenza Joan Baez, alla più westcoastiana Joni Mitchell passando per la sanguigna Linda Ronstadt, al country di Emmylou Harris, mentre in tempi più recenti le mie maggiori ispiratrici sono la canadese Loreena McKennitt e la scozzese Karen Matheson dalla vocalità più tipicamente celtica.

– Oggi la tua musica sembra fuori dal tempo che viviamo. Non hai pensato che forse l’Italia non è uno scenario adatto per questo lavoro?
È verissimo, la mia musica appartiene ad un genere assai lontano da quello che si produce oggi, ma ho voluto comunque realizzare il disco in questo modo per poter esprimere veramente me stessa, senza dover per forza adeguarmi a canoni compositivi più consoni a quelli attuali. Devo dire che ho puntato moltissimo all’estero, proponendo il mio lavoro soprattutto nei Paesi nord europei, convinta che avrei riscosso un interesse maggiore rispetto all’Italia, ma per il momento nessuna porta si è aperta.

P. T.