Qube Music School

Qube Music School: Zibba ci racconta “Moondance” di Van Morrison

La nuova lezione della Qube Music School verrà tenuta da Zibba, che ha scelto di parlarci di un grande classico della musica internazionale, “Moondance” di Van Morrison

La nuova lezione della Qube Music School verrà tenuta da Zibba, che ha scelto di parlarci di un grande classico della musica internazionale, “Moondance” di Van Morrison.

Sono gli anni ’70, esattamente nel 1970 usciva questa perla, il cui lato A è stato definito come il lato A perfetto della storia.

Il resto ve lo racconta il grande Zibba…

– Come hai scoperto Van Morrison?

Quando avevo quattordici anni suonavo con una band locale che faceva prevalentemente blues e folk song. Ero troppo piccolo per essere pagato per le performance, i miei compagni erano tutti molto più adulti. Così mi pagavano in dischi. E devo dire che è stata l’idea migliore che potessero avere. Ho amato ogni disco che mi è stato regalato in quel periodo. Van Morrison era tra gli artisti dei quali suonavamo le cover. E l’ho conosciuto così.

– Cosa ti affascina della figura di questo artista?

Devo dire tutto, soprattutto dei primi dischi. Il modo di raccontare, la voce e soprattutto gli arrangiamenti di quegli album. I musicisti, i fiati. Tutto meravigliosamente moderno per l’epoca. Un modo di intendere la black music diverso.

– Hai deciso di parlarci di “Moondance”, come mai questo disco è così importante nella tua vita?

Perché ha cambiato il mio modo di pensare la musica. Mi ha insegnato tanto. Fatto capire che c’erano anche soluzioni differenti. E poi perchè le canzoni sono una più bella dell’altra. Soprattutto se ascoltate in sequenza, con il tempo minimo per cambiare lato al disco. Credo fosse il secondo disco regalatomi dalla band di cui raccontavo prima. Il primo fu un disco di T.Waits, altro grande personaggio, importantissimo per me, al quale ho dedicato una parte di produzione. Ma ricordo che la sensazione che mi dava Moondance le prime volte era diversa. Waits sperimentava e se ne fotteva, e accontentava la parte di me che sedeva al bar e pensava alle donne. Come Bukowski in letteratura. Morrison faceva canzoni da paura che mi picchiavano nello stomaco. Ho dedicato una canzone a Van Morrison, si intitola “Aria di Levante”. Una delle canzoni alle quali sono più legato della mia produzione.

– Ricordi la prima volta che lo hai ascoltato?

No. Lo sento troppe volte. E ogni volta forse è un po’ come la prima. Ci trovo spesso particolari nuovi.

– Mi parli del contesto in cui si colloca l’uscita dell’album?

Mah, in Italia era un momento figo. C’era forse la musica leggera migliore di sempre. E fuori dall’Italia oserei dire lo stesso. Diciamo che tutto quello che ascolto arriva o deriva da quel momento storico, un po’ prima e un po’ dopo. Succedeva tutto in quegli anni. La musica migliore di sempre la stavano scrivendo in quel momento. Mi rendo conto di essere nostalgico di un tempo che non ho vissuto. Come molti amanti del genere. Sicuramente era un momento in cui tutti avevano fame di sperimentare e di comunicare, mezzi per farlo e motivazioni forti. Entusiasmo. Almeno, questo mi raccontano i colleghi che hanno vissuto quel momento. E comunque si sa. Il contesto era perfetto. Ecco.

– Conosci qualche aneddoto riguardo “Moondance”?

Se non erro Rolling Stone definì, in un sondaggio sulla musica degli anni ‘70, il lato A di Moondance come il lato A perfetto della storia della musica.

– È un album dai suoni caldi e ricco di riferimenti alla musica nera. Musicalmente qual è la caratteristica che lo rende unico?

Il fatto che si senta perfettamente il suono della band. Che tutto sia quasi miracolosamente in piedi a livello di intonazione e tempo. Fluttua, e lascia senza parole. Come dovrebbe fare ogni disco, o quasi.

– La title track è un classico della musica. Cosa la rende così magica?

Che è un capolavoro. L’arrangiamento è magistrale, leggerissimo e nonostante tutto devastante, con un flauto tanto fuori contesto da scrivere quasi un nuovo stile. Il missaggio naturale degli strumenti è perfetto. La canzone è, come dici tu, un classico della musica. Così come è stata scritta.

– C’è un brano dell’album con cui hai un legame speciale?

Crazy Love. Per mille motivi personali, per momenti speciali per i quali ringrazierò sempre sia stata scritta. 

– E adesso parliamo di te. Che progetti stai portando avanti in questo periodo?

Faccio un disco nuovo. Con i musicisti di sempre e un po’ di amici. Produco ragazzi giovani che fanno belle cose e scrivo un libro per Einaudi. Continuo a scrivere canzoni per altri e la mia carriera da autore mi sta dando grandi soddisfazioni. Un momento ottimo, per il quale devo dire grazie a tante persone. Ma anche alla mia pazienza e alla mia voglia sopra tutto di divertirmi e fare belle cose. Le cose.

Intervista di Egle Taccia