Omonimo disco per il Teatro Degli Orrori. Ancora un affresco, come ci dirà lo stesso Pierpaolo Capovilla, di questa società profondamente disperata. La denuncia, la rabbia, le urla che in qualche modo si vestono di grazia per farne canzone che poi diventi a sua volta bandiera e inno di rivoluzione. La voce e la “politica” di Pierpaolo Capovilla, la musica di questo nuovo lavoro del TDO, e poi Pasolini e le nuove generazioni. La consueta retrospettiva di Qube Music che dalle trame marcate di una musica prende e fa il giro di tutte le persone conosciute. In città come in cielo, tra i quartieri del potere e i ghetti del popolo urbano. Contro le mafie e contro l’arrampicamento sociale. Mi fermo e ascolta la voce di Pierpaolo Capovilla:
– Un quadro di questa nostra bella società. Ci pensa il nuovo disco omonimo del Teatro Degli Orrori. Cos’è rimasto fuori che vorresti ancora dire?
L’affresco, io credo, è sostanzialmente ben riuscito.
La società italiana è profondamente disperata. Senza bussola, naufraga nelle circostanze storiche incapace di darsi una meta, un approdo, o quanto meno una direzione da percorrere. L’indifferenza e il disinteresse verso tutto e tutti, rappresentano il compimento di quel processo di oblio dei valori resistenziali così ben narrato da Pasolini già nei primi anni sessanta, nel segno della corruzione e dell’arrampicamento sociale.
Abbiamo un ceto dirigente indegno, bugiardo, e schiavo delle lobby economiche, che ci ruba tutte le speranze, e ci spinge verso la “fine della storia”.
Siamo, insomma, una società profondamente malata. Impossibile raccontarne tutti i sintomi, e dipingere una nosologia esaustiva di tutti i mali che l’affliggono. Questo disco, forse, non è che un primo, timido tentativo di riflessione politica su cosa stiamo diventando in questi anni, naturalmente in chiave rock, perché di questo si tratta: un disco autenticamente e genuinamente rock.
– Il vero cancro sociale che da più parti cantate, secondo te a chi o cosa è imputabile?
Le mafie.
– La musica come la cultura in generale è una vittima della crisi o uno strumento di cui la crisi si serve per autoalimentarsi?
E bravo Paolo! Domanda cruciale, perché tocca il problema, veramente centrale, dell’ideologia, intesa nel suo senso marxiano.
La musica può essere uno strumento culturale di riflessione, critica sociale, e progresso. È una questione di autenticità artistica.
La stragrande maggioranza della produzione musicale italiana è invece purissima ideologia mistificatoria. Una narrazione menzognera e profondamente falsa del presente. Il Teatro degli Orrori veleggia in direzione contraria ed opposta allo stato delle cose in atto.
– Un tempo la musica era anche e soprattutto società e politica. Oggi? Ho la sensazione che sia solo un passatempo… sbaglio?
La musica leggera italiana di questi anni è semplice costume. Non ha niente a che fare con l’arte e con la cultura, ma piuttosto con l’intrattenimento fine a se stesso, la dispersione dei desideri bio-politici, l’agiografia dell’esistente. Pochissime le eccezioni, che però ci sono e dovrebbero essere valorizzate.
– Da tempo sei impegnato a far rivivere l’uomo e l’arte di Pasolini. Si deve per forza tornare indietro nel tempo per cercare modelli, ispirazioni e bandiere di spessore? In altre parole, secondo te oggi le nuovissime generazioni hanno figure contemporanee da seguire, le stesse che un domani saranno da ricordare alla stregua di un “Pasolini”?
Magari! Magari l’avessero! Gli intellettuali ci sono, le figure culturali impegnate e sinceramente democratiche non mancano. Penso a Zagrebelsky, a Erri De Luca, a Saviano, ad Agamben, e tanti altri. Ma la loro voce, stonata e fuori dal coro dei facili consensi populistici, è difficilmente udibile nel frastuono contemporaneo. Una figura come quella di Pasolini sarebbe non soltanto utile, in questo momento storico, ma necessaria. Non vedo stelle polari all’orizzonte, ma sono profondamente convinto che, a quarant’anni dal suo omicidio, il corpus poetico di Pasolini debba essere scoperto dai più giovani. Faremo l’impossibile affinché questa riscoperta possa diventare una realtà.
– Questo nuovo disco del TDO è molto duro e diretto su tematiche – appunto – sociali. Riascoltandolo oggi, anche se fresco di nascita, avresti voluto essere più duro o al contrario pensi di aver esagerato?
Guarda, sono reduce da quattro concerti de Il Teatro, quelli con cui abbiamo dato inizio al tour del nuovo disco. Quando canto “Cazzotti e Suppliche” vorrei scoppiare a piangere, vorrei vomitare sentenze ancor più dure, vorrei che la violenza della nostra musica si impadronisse definitivamente del mio cuore. Ma tutta questa violenza, musicale e narrativa, è una belva feroce… Bisogna contenerla, disciplinarla, ordinarla attraverso idee e valori. Il mio e nostro sforzo artistico è indirizzato ai più giovani, che ci ascoltano tanto amorevolmente, e mi auguro possa servire. Mi auguro possa, la nostra musica, suonare le corde del cuore di chi ci ascolta, e possa indurre a coltivare un sentimento di comunione di intenti e sincera, cristianissima fratellanza.
È un obiettivo difficile, forse impossibile, ma vale la pena, sempre, tentare. Come dicevano gli utopisti sessantottini? Siamo ragionevoli: vogliamo l’impossibile.
P.T.