INTERVISTE

Le mille fecce del mondo con il grande Tony Cercola [INTERVISTA]

Il nuovissimo disco di Tony Cercola si intitola “E Patatrac!”. Il resto del mondo dietro le radici napoletane

Un disco di rottura: così lo definisce il percussatore italiano che la storia a suo modo l’ha scritta davvero. Lo conosciamo come uno dei batteristi di Pino Daniele ma non solo…il “Lumumbese” ha fatto tendenza e la sua Napoli si colora di tutte le facce del mondo ogni volta che scrive e produce musica. Tony Cercola ci regala questo nuovo lavoro in studio dal titolo “E Patatrac!” un disco multietnico, sperimentale, multigenerazionale. Rispolvera la storica “Lumumba” e altre cose conosciute, restituisce nuova veste e inventa suoni e nuove canzoni chiamando a raccolta artisti da tutto il mondo. Come a prendere il mare in direzioni casuali e da queste non tornare indietro facilmente. Un bellissimo ascolto…industriale, sincero, di pancia e di mondo. L’intervista per gli amici di Qube Generation

– “E patatrac” è assolutamente la hit del disco. Perchè lo definisci un disco di rottura?
La parola patatrac può evocare la rottura degli schemi tradizionali in cui ci ingabbia una società superficiale che ci etichetta in base alle apparenze e non ai contenuti. Ma può essere anche un grido di allarme, attenzione! Fermiamoci prima che succeda l’irreparabile. Infine può evocare anche il muro della cultura che unisce vecchie e nuove generazioni ed io, come si vede dalla copertina del cd, cerco di evitare il suo crollo.

– “Lumumba” non poteva mancare tra i tuoi 4 successi da riproporre. Come mai questa nuova versione?
Questo remix nasce da un’intuizione del musicista Paky Palmieri che, innamorato della canzone, ci chiese di fare un remix. A noi è piaciuto molto e lo abbiamo inserito nell’album. Ha un groove molto ipnotico, che fa ballare ma anche pensare.

– Un disco che è il risultato di un lungo percorso. Da cosa è nato e che artista ha fatto emergere?
Nasce dall’incontro casuale con i Malacrjanza. Stavo passeggiando per i vicoli di Napoli quando fui catturato da una musica che proveniva da un sottoscala, si trattava di Babbasone, rifatto in stile raggamuffin. Mi fermai, scesi e conobbi questi ragazzi, i Malacrjanza, che mi spiegarono che loro erano cresciuti ascoltando una musicassetta, del padre dei due fratelli Spampinato, contenente il mio primo album ed erano rimasti colpiti da questa canzone, che tra l’altro all’epoca partecipò anche al Cantagiro e al Festivalbar. Così mi venne l’idea di affidare a giovani talentuosi alcuni brani del mio vecchio repertorio restituendo a loro il mio groove, la mia carriera, non come coach ma come musicista, suonando con loro, ricevendo anche da loro energia. La scelta è stata condivisa con gli altri artisti incontrati in giro per l’Italia e non solo.

– Anche tanta gustosa elettronica in questo disco: un modo per parlare con un linguaggio attuale o semplice voglia di sperimentare altri linguaggi?
Gli arrangiamenti li ha curati Gino Magurno e ogni sua scelta, poi da me approvata, è stata sempre in funzione dei contenuti della canzone. L’elettronica c’è perché è una parte della musica che ci gira intorno ma, sempre con la ricerca di soluzioni fatte con gusto e mai gratuite. Ma c’è anche tanta tradizione e contaminazione. È sempre stata una nostra prerogativa, sin dai tempi di Lumumba, circa trent’anni fa, quindi in tempi non sospetti.

– Impossibile non citare Pino Daniele quando si parla di Tony Cercola: quanto ha influito questa grande scomparsa nella tua nuova produzione?
Come potrebbe non aver lasciato il segno dentro di me! Ho cominciato con Pino ed ho suonato negli ultimi suoi concerti. Ma preferisco tenermi dentro questo dolore. In questa nuova produzione non c’è volutamente niente di Pino ma forse, inconsciamente, c’è comunque sempre un po’ di Pino, come accade con Napoli. Anche se non volessi ci sarebbe sempre dentro di me.

– Un videoclip? Ce lo regalerai?
Sì, stiamo pensando al videoclip di “Mi opio”, un po’ perché la canzone si presta, a detta di molti addetti ai lavori, ad un mercato internazionale e poi c’è Rosarillo che, come diciamo noi a Napoli, “l’ha proprio pittata!”.

P.T.