Inauguriamo, oggi, una nuova rubrica di Qube Music a cui teniamo molto: LE INTERVISTE IMPOSSIBILI.
Cosa sono LE INTERVISTE IMPOSSIBILI? Sono la possibilità di far rivivere “in parole” personaggi storici della musica, ponendo loro domande ed ascoltando le loro risposte. Un gioco, sì… ma anche un esercizio antropologico e sociologico che ha richiesto numerose ore di studio, tra filmati di repertorio e testi originali, per cercare di compenetrare la profondità degli artisti, comprendere come loro avrebbero effettivamente risposto alle domande di Qube Music. Con i loro tic, il loro linguaggio ed il loro modo di fare.
Nella prima uscita. FABRIZIO DE ANDRÈ quanto mai attuale, dopo la fiction RAI (Principe Libero), che risponderà alle nostre domande sul Festival di Sanremo, sulla stessa fiction RAI e sulla contemporaneità.
QM: Fabrizio, ciao! E innanzitutto ben trovato!
Ti abbiamo scomodato – e speriamo tu non ce ne voglia, per questo! – Perché, nonostante ultimamente tu sia di grossa attualità per la fiction RAI appena trasmessa ma di cui, se vuoi, accenneremo solamente e brevemente più avanti, volevamo in realtà commentare con te l’ultima edizione del Festival di Sanremo.
La 68esima, per la precisione.
FDA: Beh, se il Festival esiste da ben 68 edizioni dovrà essere certamente utile e importante per qualcuno.
Io, in tempi non sospetti – quando la competizione canora si andava già progressivamente imponendo più per l’affermazione di questo o quel personaggio, questo o quel look (più o meno attuale e/o trasgressivo) piuttosto che per la sua valenza “artistica” nel senso più pieno e nobile del termine – mi espressi circa il suo reale valore, cosa che intendo fare anche ora.
Le corde vocali, universalmente parlando, possono essere annoverate nell’elenco di muscoli a nostra disposizione e quindi, se il festival debba e possa ritenersi ancor oggi una simil competizione fra ugole allora certamente sì: ne riconoscerei l’utilità in quanto gara nell’accezione più sportiva del termine.
In caso contrario, se il festival debba servire per esprimere “sentimenti” allora, no.
Personalmente, non potrei neppure pensare di competere e questo perché, i sentimenti – così come le emozioni – non possono né potranno essere mai ascritti come possibili e potenziali argomenti di competizione.
QM: L’ultima, è stata un’edizione vinta dal duo Meta/Moro con un brano “impegnato” e di strettissima attualità. Un brano legato e dedicato a fatti recenti di cronaca ed, in particolare, all’Isis ed agli attentati di Parigi, Londra e Nizza.
Dal punto di vista strettamente musicale, che genere di decodifica ti senti di fare circa l’importanza di trattare temi attuali che esulino dai classici concetti di “cuore” e “amore”, troppo spesso di casa a Sanremo?
FDA: Musicalmente parlando io ho sempre vissuto un po’ per i fatti miei. E, soprattutto, ho vissuto anche per fare della canzoni e proporre, in questa maniera qui, le mie idee; offrendo delle interpretazioni alla gente.
Poi è chiaro che, oltre alla musica, vivevo anche per molto altro. Per l’idea, ad esempio, di veder crescere e soprattutto sostenere il percorso di vita dei miei figli che, ad un occhio attento, ben si sposa con i concetti di “cuore e “amore” sopra menzionati.
Diciamo che, la musica, è stata sempre un gran bel corollario del mio essere uomo. Prima ancora del mio essere artista. O presunto tale. Poi è chiaro che l’industria discografica abbia il suo compito di impacchettare i prodotti “finiti” e veicolarli, quindi, come meglio crede. Ed ecco che, ad esempio, canzoni che ad un primo ascolto possono apparire come canzoni d’amore, andandole ad analizzare più a fondo – scavando insomma – possono rivelarsi come canzoni dalla valenza “sociale”…
Che, poi… veicolare non è certamente la nostra missione. A noi che viviamo “anche” di musica rimane semmai saldamente e concretamente ancora la possibilità di emozionare. Condividendo.
Io, ad esempio, ho sempre scritto di persone che hanno costantemente tentato di cercare la propria libertà d’essere. Cosa, questa, che magari… spesso impattava con la santità e l’imprescindibilità delle leggi scritte.
La canzone vincitrice del festival, ha invece tentato di raccontare a suo modo di come, quelle libertà, possano venir meno. E questo in barba alle leggi di cui sopra. Per mano, soprattutto, di un gruppo che si crede al potere. Il potere di generare terrore e disperazione anche nelle azioni più belle e pure come quella di festeggiare una nazione o, ancora, assistere ad una manifestazione musicale.
QM: Anche il brano dello Stato Sociale ha fatto breccia nel pubblico, piazzandosi al secondo posto. Ed anche in questo caso, il tutto pare incentrato sul concetto di “libertà”. “Per un mondo diverso… libertà e tempo perso… e nessuno che rompe i coglioni”, recita il testo…
FDA: Vi rispondo con una domanda. Anzi, con una riflessione, in questo caso. Com’è che si diventa “libertari” secondo voi?
Per me, lo si può fare in due modi diversi e distinti. O perché si è vissuto e frequentato, fin dall’infanzia, un contesto “libero” oppure perché si ha un’indole. Un’impostazione ben precisa che ti porta a pensare che il mondo possa e debba essere giusto e concedere, a ciascun individuo, stesse opportunità di espressione e sviluppo personale.
Personalmente, mi sono sempre rapportato con una certa sofferenza verso le grandi differenze che esistevano da individuo ad individuo. Ho tentato di giustificare e di scusare socialmente certe azioni che si presentavano come devianti e scorrette. Ciò, per il fatto che, chi le commetteva, non aveva potuto beneficiare dell’opportunità di poter essere uguale agli altri. E questo da un punto di vista economico, scolastico, ecc…
In quest’ottica, all’interno di un contesto canoro abbastanza classico come quello sanremese, a venir fuori sono proprio le minoranze. quelle minoranze che nascono e si sviluppano inseguendo la maestosa utopia di rassomigliare, in definitiva, solamente a se stesse.
Quindi, se ci si ferma a riflettere anche e soprattutto sul concetto di “stato sociale”, ecco che torna alla ribalta il famoso “principio di uguaglianza” e la sua ambizione di ridurre o quantomeno mitigare le disuguagliane sociali.
Possiamo, dunque, anteporre un’interpretazione personale e intravedere nel pezzo dei cinque ragazzi emiliani un assunto ben preciso che ha a che fare col capitalismo, da intendersi in quanto disagio e mal sopportazione – in chiave ironica – del suo essere.
La canzone in generale ricordiamolo è, almeno apparentemente, un’arte povera, semplice – in realtà è densa di componenti. Dalla melodia, all’armonia. Dalla ritmica fino al testo e, soprattutto, all’interpretazione ed alla lettura. E ciascun elemento deve risultare ben bilanciato rispetto agli altri. Questo, per evitare di inquinarne il risultato finale che, a mio avviso, deve essere sempre e comunque quello di comunicare un’emozione.
QM: In chiusura, dovendo lasciarti andare, che effetto ti ha fatto vederti raccontato attraverso una fiction?
FDA: Non saprei dire, sapete!?!!
In linea di principio, credo che calarsi nella realtà e nella vita di personaggi pieni di difetti e complessi non sia relativamente facile. La complessità di ciascuno di noi, per essere interpretata, andrebbe anzitutto vissuta, sperimentata. E allora sì che si potrebbe parlare di narrazione. E di racconto.
Contrariamente, si vaga in territori romanzeschi. E ciascuno di noi, avrà almeno la libertà di scegliersi la sua novella preferita?
Ecco, questo se non altro sì…
Bruno Pecchioli