NEWS RECENSIONI

Pane: “Dismissione”

“Dismissione” è un lavoro commovente per lirismo metropolitano, bellezza ed impegno…

“Da quattro giorni la radio è morta. Ancora una volta è evidente che la tecnica
ci ha regalato strumenti di dubbia utilità. In sé non hanno alcun valore,
sono relativamente preziosi,
ma solo finché si riesce a infilarli in qualche presa. Il pane ha un valore assoluto. Il carbone ha un valore assoluto.” (Versi di donna anonima nella Berlino in rovina al termine della seconda guerra mondiale).

Il nome che si è scelto questo progetto romano dice abbastanza sulla ricerca del “valore” che si è prefisso. La veste è una veste prevalentemente acustica ma senza restrizionismi, un abito in fondo è solo un abito, tuttavia è proprio l’espressione “Acustica da camera” quella scelta dal gruppo stesso per “chiamare” la propria musica.

Il vettore per emozioni, idee, quadri verbali e pensieri è quindi la musica, gli strumenti sono quelli delle grandi occasioni: pianoforte, chitarre classiche ed acustiche, flauto traverso, batteria, percussioni, voce.

I Pane sono un progetto musicale coraggioso generatosi nel 1992 dall’incontro tra Claudio Orlandi (voce) e Maurizio Polsinelli (pianoforte). Sin da subito, grazie a diverse e significative collaborazioni, inizia a consolidarsi la struttura portante della musicalità della band che risolve di dotarsi dell’energia espressiva delle migliori accezioni del rock contemporaneo con le nobili rarefazioni degli autori classici del novecento. Nel 1994 avviene un incontro fruttuoso e significativo, quello col chitarrista Vito Andrea Arcomano, dal quale background progressivo parte il rilancio d’una più ampia ricerca sonora. Dal trio zampilla un’intensa attività compositiva e la realizzazione dei primi demo.

Il nome della band, semplice ed umanamente evocativo, nasce dal desiderio dei suoi componenti di fare della musica un lievito per le parole. Claudio Orlandi stesso a tal proposito dice che la parola PANE si vuole richiamare a qualcosa di semplice ed allo stesso tempo composito, complesso tanto da sottolineare come da piccole debolezze si può generare una forza.

Cominciano a girare alcuni demo come “Cuore di grano e macine”, “Frana dolce”, “Il Peso”. Da trio il progetto diventa quartetto quando nel 1998 avviene l’incontro con l’indomabile flautista Claudio Madaudo. L’effetto immediato di questo arrivo nel piccolo e delicato mondo della band sarà quello inevitabile d’una espansione musicale e di un ampliamento strutturale, paesagistico e compositivo che sarà ancor più rafforzato da un ulteriore ingresso. Nel 2001 infatti entra nella formazione anche l’inossidabile batterista Ivan Macera, la cui potente carica ritmica rivela anche la sua sensibilità nell’innesto non semplicissimo nelle atmosfere modernamente “cameristiche” della band.

Feconda e stimolante l’interazione tra le musiche e le liriche del gruppo in un continuo gioco di fughe e torsioni immaginative in cui la delicata immaginazione musicale si somma ad una matura ricettività tecnica.

Quattro i dischi pubblicati in più di dieci anni: “Pane” (2003), “Tutta la dolcezza ai vermi” (2008), “Orsa maggiore” (2011), “Dismissione” (2014).

La prima produzione vera e propria esce nel maggio del 2003 con un album dal titolo omonimo al nome della band, accolto assai favorevolmente dalla critica specializzata. “Pane” è un lavoro monumentale ed audace, un’opera in bilico tra il suo sentirsi letteraria e il suo essere musicale. A seguire le linee del disco ci s’accorge di venire irretiti da antinomie alla Jethro Tull e da recitativi alla De Andrè.

Eppure tutto viene lasciato fare alla naturale potenza della musica. I Pane non vanno subito a caccia dell’immediata cattura dell’ascoltatore, bensì operano una intelligente vertigine emozionale per riuscire poi ad irretire chi ascolta, e non la sua mente, in una corrispondenza dialogativa.

La magnifica “Termini Haus” è una piccola trilogia tripudiante che si svolge tra amenità folk e l’ottima interpretazione vocale di Claudio Orlandi. “Insonnia” invece ha un inciso più orientato sulla via della seta ed ispirato ai misteriosi e madidi recitativi di Giovanni Lindo Ferretti. Seguono “Incudine”, “Passo lento” e “Fiamma” a tagliare le acque notturne della nostra indolente indifferenza. “Rivoluzione” finalmente ci rivela con il suo inatteso ed incontrollato nervosismo tutte le ansie dei suoi autori, mentre la conclusiva “La sedia” porge delicatamente all’ascoltatore la chiusura del lavoro. Un gran lavoro d’esordio davvero, inaspettatamente maturo ed attento. Armonizzato, più che armonico, benchè in continuo e fecondo disequilibrio.

Occorrono ben cinque anni per vedere realizzata la seconda produzione dei PANE. Nel 2008 esce infatti “Tutta la dolcezza ai vermi”, un album dal titolo sibillino con nulla di ordinariamente compiacente dentro. In questo lavoro infatti i PANE rivelano dieci tracce (di cui due cover) di coraggiosa poetica esistenziale. Viene operata un’inverosimile dilatazione della forma canzone tanto da dilaniarne i confini.

Fanno capolino autentici maestri del songwriting come Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Leo Ferrè, Luigi Tenco, i C.S.I. di “In quiete” e Giancarlo Onorato (pure co-produttore dell’album), tutti ripresi con lucida ferocia, per permetterci di entrare in un carcere iracheno (“Abu Graib”) o nell’animo solitario e cogitabondo del sottotenente Giovanni Drogo del “Deserto Dei Tartari” di Buzzati.

In questo personalissimo lavoro il verso dei PANE, anche quando poetico, raramente diviene idilliaco se non negli afflati ultimi del proprio significato. Realtà e mistero si trasfigurano e vita e morte ne risultano continuamente celebrati. “Tutta la dolcezza ai vermi” è un canto ed un monito insieme, un inno alla bellezza che continua a fiorire dalla terra nonostante alcuni dei suoi ottusi abitanti.

Negli anni successivi a questo lavoro la band affianca regolarmente all’impegno in studio, un’intensa attività dal vivo. Dopo tre anni il risultato sarà lo splendido album “Orsa Maggiore” del 2011, il terzo dei PANE.

Anche qui l’eclettismo dei PANE rende liquide le ordinarie categorie d’appartenenza del prodotto musicale. Il corpo musicale di “Orsa Maggiore” è interamente acustico, in un lodevole esercizio di vissuta autenticità in cui ogni brano ha il corpo di un’intera opera, in costante equilibrio tra musica e poesia, tra cielo e terra. Le progressioni di “L’umore”, brano d’apertura dell’album, immergono l’ascoltatore nel mondo lirico e teatrale dei Pane, un mondo sorretto da creature sonore e ritmiche mai scontate. Tante sono le rivisitazioni dei testi classici che si rincorrono nell’album: Majakovskij in “Orsa Maggiore”, Gesualdo Bufalino in “Samaria”, Victor Cavallo nella dotta citazione in “Cavallo”.

Il paesaggio dell’album è fatto di un continuum spazio-temporale in cui si sostanziano tra le più significative concrezioni possibili della manifestazione umana, dalla più sconvolgente filosofia dell’esistenza, alla metafisica, al dadaismo, alla narrazione storica, al mondo onirico e psichico di Eros e Thanatos.

Nello smarrimento pan-sonico sembra persino di vivere un’eterno ritorno in cui Soft Machine e Robert Wyatt tendono la mano ai Pink Floyd più visionari, in cui Area e Banco celebrano le proprie splendide sconfitte, in cui Carnascialia e De Andrè si stringono in un ideale abbraccio con Mauro Pagani.

Col 2014 arriva poi “Dismissione”, un lavoro commovente per lirismo metropolitano, bellezza ed impegno. “Dismissione” è il quarto lavoro ufficiale dei Pane ed è stato realizzato in collaborazione con Fabio Orecchini, autore del libro a cui il CD è allegato.

Questa la tracklist del disco: 1. Bocche, 2. Madame Eternit, 3. Acqua Nella Pancia, 4. Laminare, 5. Balene, 6. Tuo Figlio. Questa la Formazione dell’album: Claudio Orlandi (voce), Maurizio Polsinelli (piano), Vito Andrea Arcomano (chitarra acustica), Claudio Madaudo (flauto traverso), Ivan Macera (batteria e percussioni). Album registrato e maturato al Controfase Studio di Roma. Assistenti e tecnici di studio in fase di registrazione: Pietro Pompei e Tommaso Cancellieri. Missaggio e masterizzazione: Tommaso Cancellieri.

Si tratta di una sorta di esperimento di poesia totale che si sviluppa attraverso una lucida analisi storica e sociale della tragedia tutta italiana dell’ETERNIT e delle sue vittime, ma non è tutto, perché “Dismissione” è anche un’audace ricerca sul linguaggio inteso come materiale vivo per la musica e per la multimedialità.

Come detto, in questo loro quarto lavoro intitolato “Dismissione”, i PANE proseguono lo svolgimento del proprio percorso artistico fatto di contaminazione tra musica e poesia, solo che qui la musica si fa più dura, più ostica ed aggressiva, seppur industrialmente e metropolitanamente acustica. “Questo lavoro scava sottoterra. È pensato e costruito nel solco di un’idea, di un corpo di esperienze autentiche. La resurrezione è un obbligo, una necessità storica. Abbiamo dato la dolcezza ai vermi, l’anima all’Orsa, ora un uomo può vivere”, dice Claudio Orlandi dei Pane.

“Quando ho saputo che i Pane avevano deciso di lavorare sul testo di Dismissione di Fabio Orecchini ho subito pensato che si trattasse della band più adeguata.
In grado di fuggire il tranello retorico di tanta musica “impegnata” perché capace di scomodare un’espressività lirica, teatrale, amorfa, pre-verbale. Eppure tenacemente aggrappata alla parola come depositaria di senso profondo e sfaccettato”, dice Stefano Solventi.

“Il cuore della faccenda sta nelle cose: ogni generazione ha difatti i suoi oggetti, taluni persino transazionali. Fabio Orecchini, da questo punto di vista, fa una scelta di estrema consapevolezza: le cose della sua generazione vivono del lascito tossico della presunta eternità della merce della generazione che l’ha preceduta”, scrive nella sua prefazione al libro Gabriele Frasca.

E poi l’approccio sostanzialmente jazz dei PANE è perfettamente in grado di rendere al testo il proprio respiro e riverberarne l’enfasi. Le “ambientazioni” narrative e quelle musicali sono libere di aggrovigliarsi e divincolarsi tra muscolosi crescendo e minime variabilità di chiara bellezza. Si tratta di materiale nobile, nobilissimo, musica e poesia l’una di fronte all’altra, pulsanti, forzatamente ibride ed ibridamente rafforzate, in un sabba moderno ed urlante che s’indigna quasi di sè stesso.

Lungo tutta la sequenza delle tracce dell’album si srotolano come dei canovacci di commedia dell’arte sei pieces surrealmente reali, sei vermi ciechi che scavano l’ascolto e l’ascoltatore e nel mentre si nutrono di morte cieca anch’essa, irredimibile, fatale.

Filamenti fusion sincopati, blitz recitativi e afflati istrionici tra Carmelo Bene e Vittorio Gasmann, accompagnano di volta in volta gouaches di flauto traverso e stille di pianoforte, arie taglienti ed ampolle di vetro con opachi elisir d’amore disperato.

I testi di Fabio Orecchini d’altra parte operano obliqui, mescolando parola malata a forma tetra, utopia tecnologica e degrado della fabbrica, condizione esistenziale deperita e sfruttamento operaio. Un’esistenza infernale in cui la fabbrica, o meglio il suo padrone, violentano il corpo, sconfiggendolo infine, in malanno prima e morte poi. Ecco quindi raggiunto il tema centrale e finale insieme, la morte, l’unica e vera dismissione. Quella di “Dismissione” è materiale letterario e musicale vero, sanguinante, materiale che graffia l’anima dal di dentro, materiale di denuncia sociale e storica.

L’album è una tessitura continua di acustico patimento, di verbalità esacerbate, di parole e metriche già disilluse ancor prima d’essere pronunziate. Proprio come il destino che già prima che nessun s’accorga, stringe la propria vittima in una morsa lancinante, quasi ebbro d’una mostruosa ed incondivisibile consapevolezza.

Disco amaro e crudo, disco capace di strapparti il cuore dal petto per sostituirlo con qualcosa che poi ognuno deve trovarsi da sè. Disco bellissimo e d’un eroismo vero ed epocale.

Il futuro soltanto saprà lavorare ancor meglio per i nostri coraggiosi amici dei PANE.

Mi sia permessa un’ultima citazione, meno cerulea delle precedenti e più crepuscolare. C’è un verso in “Abu Graib”, dall’album “Tutta la dolcezza ai vermi”, che dice: La mia intuizione è la ferocia. Il verso si scaglia contro la violenza e le torture di guerra ed è messo in bocca ad un immemore che si risveglia in riva al mare e la cui memoria è pertanto divenuta la sua sola intuizione. Egli non ricorda il proprio passato, lo intuisce. In uno stato di confusione mentale, tra i rumori della spiaggia e del vento, viene colpito da immagini, odori, suoni che gli fanno sovvenire per intero la ferocia dei suoi torturatori. Una ferocia che si amplifica anche fuori dai campi di prigionia della guerra, una ferocia che investe tutta la nostra società, tutto il mondo.

Anche di questa ferocia si sostanzia quello sguardo lucido e quasi spietato sul mondo operato dai PANE. Canzoni incantevoli ed incantabili del nostro presente, canzoni autentiche eppure lontane dai posticci sentimentalismi di molta della musica che ci gira astutamente intorno.

Canzoni a cui è stata affidata la sostanziale importanza della parola, la quale se incaricata di comunicare un pensiero autentico può sembrare persino inconsuetamente spietata. E verosimilmente è proprio la lontananza dal mercatino televisivo delle parole usate che rende quelle dei PANE in qualche modo parole feroci.

Eppure, come dicono i meravigliosi ragazzi dei PANE, cercando le parole talvolta arriva anche la grazia, tanto che con una sola frase è possibile dire che si possono preferire dei sassi ad interi filari di perle e biondo miele allo zucchero.

Amar