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Emanuele Scataglini: “The Lantern Out Of The Doors”, spunti e riflessioni oltre la musica

Artista da sempre attento alla Cultura e agli aspetti più intimi della natura umana, Emanuele Scataglini, ci sorprende ancora una volta volgendo lo sguardo dentro noi stessi. Un viaggio introspettivo attraverso una metafora musicale, THE LANTERN OUT OF THE DOORS. Una “raccolta musicale” di recente uscita, densa di simbolismi e significati, che abbiamo voluto approfondire direttamente con l’autore, cercando di compenetrarne il pensiero e le intenzioni. Una lunga e profonda chiacchierata, che partendo dagli aspetti più prettamente musicali è sfociata poi in un’interessantissimo excursus artistico-filosofico, ricco di spunti.

– Buongiorno Emanuele, benvenuto su Qube Music. Dopo Belle Époque, un nuovo progetto musicale, The Lantern Out Of The Doors. Una fusione tra musica, teatro, filosofia… con un occhio attento alla Cultura. Vogliamo parlarne?

Io amo i progetti musicali che hanno un filo conduttore. Non sono propriamente dei concept album ma piuttosto degli Ep composti da brani legati da un’idea comune. Penso che ogni album debba essere riconoscibile come un progetto particolare, come ciclo musicale con tracce diverse tra loro, ma connesse da una tematica specifica.

Questo modo di pensare ai propri lavori musicali può esistere anche nell’epoca dello streaming; infatti sebbene facciano parte di un progetto comune, i singoli brani sono compiuti e ascoltabili anche da soli. Facendo un parallelismo musicale molto alto si può pensare ai cicli musicali di Schumann oppure ai dischi tematici di De André o alle opere di John Metcalfe.

Anche il disco precedente Belle Èpoque, aveva questa caratteristica: ogni canzone poteva essere riconosciuta come parte del disco e contemporaneamente esistere come singolo. Non è quindi un’operazione stile musical ma più simile ad una raccolta poetica.

In The Lantern Out Of The Doors mi sono ispirato all’arte simbolista, dove l’obiettivo è quello di cercare oltre le apparenze del reale. La finalità è quella di arricchire lo spirito con immagini, sensazioni e simboli.

Nella pittura sono colpito da Gustave Moreau e dalle sue immagini evocative e cupe, ma anche Paul Gauguin dove il colore è linguaggio dei sogni. Per la poesia Rimbaud e Verlaine sono autori di grande riferimento, ma anche Poe.

Vorrei però specificare che queste forme d’arte, a mio avviso, trovano un punto di approdo nella filosofia imaginalis, come espresso in diverse opere di James Hillman secondo cui è possibile curare l’anima con la forza creativa del simbolo. L’errore dell’uomo contemporaneo sta proprio, secondo questo approccio, nella perdita dell’idea di anima che viene sostituita totalmente della dimensione materiale. Hillman ritiene necessario curare l’animo dell’uomo con la bellezza e con la forza dell’immaginazione. Se pensiamo a quello che succede oggi ci accorgiamo che noi siamo abituati a vedere il mondo come consumo e non come contemplazione.

– The Lantern Out Of The Doors, qual è la metafora?

La metafora è quella della ricerca interiore che porta ad un diverso approccio con ciò che ci circonda.

Schopenhauer diceva che la veglia e il sogno sono pagine di uno stesso libro. Mi sembra molto appropriato pensare alla nostra esperienza mondana come ad una unità. Il nichilismo della nostra era non porta necessariamente alla distruzione, ma anche alla consapevolezza della fratellanza universale. Leopardi trovava assurdo il comportamento umano: circondati da nemici, malattie, fenomeni naturali, gli uomini si preoccupano di più di ferire, di uccidere i propri simili piuttosto che di aiutarsi tra loro. Purtroppo la situazione non cambia, come vediamo.

È conosciuto il motto usato da Socrate “conosci te stesso”, eppure noi esseri umani non lo facciamo, stiamo nelle tenebre e non accendiamo la Lanterna della nostra anima per raggiungere una parte a noi ignota, portarla alla coscienza e metterla al servizio di un’esperienza comune.

– Cosa rappresenta la Lanterna?

È uno strumento alchemico, che ci permette di cogliere differenze dove sembra non ve ne siano e di cogliere unità dove tutto appare disgregato. La concezione alchemica non si oppone al linguaggio scientifico, ma lo integra in una prospettiva più umana. Parlando di alchimia mi riferisco alle concezioni filosofiche di Hillman, non propriamente al pensiero esoterico, anche se sono molto affascinato da certe riflessioni sull’inconscio collettivo e sul tempo.

Lo stesso Allan Poe in Eureka prendeva spunto dalla teoria gravitazionale per indicare la interconnessione delle cose e anche certi aspetti filosofici della meccanica quantistica fanno riflettere sul fatto che esista la possibilità di un approccio spazio temporale non lineare. Personalmente sono un umanista, non uno spiritualista: mi affascina l’idea di Ficino del pneuma come sostanza di mediazione tra noi e l’universo.  La Lanterna indica un oggetto da prendere per sconfiggere le tenebre della conoscenza.

– … e cosa si vuole illuminare con la Lanterna?

L’anima del mondo.
Sì, penso che il concetto di Anima Mundi sia molto appropriato. È un pensiero che nasce con la filosofia platonica e nelle sue varie forme arriva fino alla psicologia junghiana.

Schopenhauer parlava della Volontà di vivere come essenza metafisica dietro l’apparire. Per lui la Vorstellung era cieca e disinteressata al destino del singolo. Con la psicologia abbiamo compreso che esiste un inconscio personale ed un inconscio collettivo. Jung parlava di realtà archetipiche.

Recuperando il mito Platonico noi possiamo dire di essere prigionieri in una caverna, status, potere, profitto. L’anima del mondo è più di questo, purtroppo ci si ferma all’apparenza. Vediamo tutti i giorni piccoli e grandi conflitti, su scale personali e non solo.

L’Anima del mondo è una realtà metafisica, inconscia che lega tutto e noi ne siamo parte… E questo dovrebbe aiutarci a comprendere qualcosa di noi stessi e degli altri per una sintesi superiore.

– Rappresenta una luce interiore o una ricerca fuori da noi stessi?

Le cose si completano. Esiste sempre una relazione tra oggetto esterno e coscienza, tra immagine interna ed esterna, una dualità complessa. Le filosofie orientali parlano della necessità di lavorare prima sul singolo per poi migliorare l’essere umano. È strano che oggi i mezzi di comunicazione di massa spingano spesso la Cultura verso il basso invece che elevarla, ma sono legati al profitto. Ci sono cose che aumentano la conoscenza, anche solo la possibilità di leggere articoli, libri, ascoltare musica in rete è una grande opportunità per tutti ma occorre fare delle selezioni.

– Cambiamo aspetto, parliamo di quello strettamente musicale, ora. Qual è l’ispirazione?

Il brano che dà nome all’Ep è frutto di una analisi degli artisti del Novecento. Ha un qualcosa che ricorda Satie, Debussy e Ravel. Un tema che si struttura su varie tonalità con una progressione riconoscibile. Inizialmente volevo fare un pezzo più diretto, più semplice, poi ho seguito l’ispirazione e The Lantern Out Of The Doors è diventato un brano più intimo, credo che per apprezzarlo occorra una certa concentrazione, è dolce e spinge alla riflessione.

Poi ho cercato di variare arricchendo un po’ la tavolozza espressiva con un altro brano per pianoforte più melodico con Euridyce’s Dream. Con I Read Smoke Clouds, un brano piano e violino, do via libera al mio istinto melodico.

Chiudono due pezzi più orecchiabili: Maliciuos Moon realizzato con chitarra solista e percussioni e The Secrets of the Fog che è una vera e propria canzone, un testo nostalgico, una leggenda per adulti e non solo.

– Quando Emanuele Scataglini compone, ha dei punti di riferimento?

Io ascolto tantissima musica di genere diversi, musica classica, jazz, blues. Non so dire dove prenda l’ispirazione, lavoro molto a tavolino non amo improvvisare, devo dire che ho sempre qualche idea da provare. Sono molto prolifico.

– E c’è un filo conduttore tra la precedente opera (Belle Époque) e questo nuovo progetto?

A parte l’idea del ciclo di brani direi di no, Belle Époque è un disco in italiano con uno stile un po’ retrò. L’ultimo Ep, invece, è quasi tutto strumentale. Mi piace cambiare e variare stile.

– Abbiamo detto teatro e musica, nonché filosofia. Tutti ingredienti importanti.

Sì, infatti, è stimolante utilizzare linguaggi diversi ed attingere da esperienze differenti. Non riesco a specializzarmi e so che questo può apparire un difetto ma la mia natura creativa è questa: l’eclettismo.

– Quanto è ancora possibile, oggi, esprimersi attraverso tematiche di così alto livello?

Anche se ho composto musica per grandi Brand: Marni diretta da Consuelo Castiglioni, Margiela, e partecipato ad iniziative di prestigio faccio una certa fatica a far conoscere i miei lavori. In parte dipende dal genere. Non è propriamente musica contemporanea ma nemmeno di poco spessore. Sono stato molto contento della mia collaborazione con Alessandro Serena per la sigla dello spettacolo Black Blues Brothers dove ho scritto la sigla in stile blues.

– Quale spazio ha la Cultura? E quali sono le difficoltà che si incontrano proponendo progetti così particolari e di spessore?

I problemi sono i fondi e l’essere inseriti in determinati circuiti. Quando vengo chiamato per collaborazioni il risultato è sempre apprezzato. Purtroppo spesso la musica originale viene messa in secondo piano rispetto a quella preconfezionata o a brani molto popolari.

Foto: su concessione dell’Artista