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Colombre: “Pulviscolo”

Un’opera prima di assoluto valore che coincide con un’attitudine ad un suono deliziosamente trasandato

25 minuti e poco più. Un soffio leggero, un’intuizione: ecco il primo lavoro da solista di Giovanni Imparato alias Colombre.

I brani sono dei veri morsi di squalo, in tema con il suo nome che ricorda il mostro di Buzzati: i ritmi di alcuni brani come Fuoritempo sono indiavolati, colmi di inquietudine, come nel racconto dello scrittore veneto.

Nella sua gavetta musicale Imparato ha seminato alla grande e il duetto con IOSONOUNCANE è geniale, spasmodico: vi catturerà esattamente come potrebbero fare le luci di un night club.

I suoni disegnano una geometria più o meno regolare che attraversa riff funky e passaggi di synth, che, come un tappeto, tengono in piedi le melodie.

La voce di Imparato è pacata, ma ha ugualmente la capacità di attrarre.

Da sempre si è associata la poesia o il cantautorato ad una strana malinconia, in Pulviscolo invece viene fuori un’altra caratteristica assimilabile alla poesia: la vitalità.

Goethe nel Faust ha scritto una frase che suona più o meno così: “Des Lebens Pulse schlagen frisch-lebendig, Ätherische Dammerung milde zu begrussen – Vivi e forti battono i polsi della vita per salutare dolcemente l’alba eterea”, ed è proprio così che suona il disco di Colombre, sfumato come un sorgere di sole durante l’inverno.

Momento significativo del disco è il brano Dimmi Tu, dedicato a Letizia Cesarini (Maria Antonietta), che ha realizzato anche il video di Pulviscolo.

Nel brano risuona l’eco di una frase di Sartre che parlando del suo più o meno anti-matrimonio con Simone De Beauvoir disse: “Sognare ognuno per sé, scrivere l’uno per l’ altra” e per il loro lavoro è così, una commistione di idee diverse, esplosive e nuove.

L’unica cosa che manca per un disco perfetto è un’attenzione in più al lato testuale, che in alcuni pezzi viene surclassato dagli intrecci sonori.

In alcuni arrangiamenti si poteva osare di più, data la grande originalità del lavoro, ma la strada imboccata è più che buona.

Robert Lowell negli Stati Uniti ha fondato i poeti confessionali, corrente che ha tra i suoi rappresentanti Sylvia Plath: l’importanza nella poetica di questi artisti era strettamente legata alle esperienze personali raccontate in modo molto originale. In Italia stiamo assistendo alla nascita di un cantautorato “confessionale”, Colombre, in modo assolutamente personale, come ha fatto anche Giorgio Poi o Francesco Motta, sforna un’opera prima di assoluto valore che coincide con un’attitudine ad un suono deliziosamente trasandato, che fino ad oggi abbiamo sentito solo in artisti provenienti da altri lidi.

Il disco è un vero concept artistico, tutto è geometrico, dai brevi titoli alle sporcature ritmiche, sembra essere un appartamento dove ogni traccia è una stanza con aspetti diversi di una personalità che ha l’obbligo di continuare una ricerca musicale troppo interessante per esaurirsi in 8 pezzi.

Gianluigi Marsibilio