Quarta fatica per l’indie-rapper torinese Guglielmo Bruno, meglio conosciuto come Willie Peyote.
Un album che arriva a soli due anni di distanza da quel “Sindrome di Touret” che consacrò l’artista ad importante punto di riferimento della scena Indie italiana contemporanea.
come consuetudine, abbiamo ascoltato il disco tutto d’un fiato anche perché tutto d’un fiato è lo stile del cantante piemontese che – ed è sempre opportuno sottolinearlo, questo – oltre che rapper è anche e soprattutto fine cantautore.
E, ciò, considerando lo spessore di questi nuovi 12 testi che, ad un ascolto preciso ed attento, ci introducono – consolidandolo, semmai ve ne fosse ancora bisogno – l’attuale Peyote pensiero: quello di un ormai consapevole e maturo “over trenta” che si interroga sulle variegate sfaccettature dell’odierna società: dalla politica, passando per l’amore fino ad arrivare ad indagare l’attuale mondo dei social nonché il contemporaneo universo musicale.
Insomma, “Iodegradabile” è certamente un’opera complessa ma, nello stesso tempo, trattasi di un lavoro di una semplicità dai contorni ben definiti: sì perché se la complessità nel trattare ciascun tema può essere inquadrata senza dubbio alcuno come vero e proprio elemento portante e trainante dell’intero lavoro, così come lo scorrere del tempo rimane fra i temi centrali dell’album (davvero ottima l’idea di una intro che, suonando di fatto come una dichiarazione d’intenti, aiuta a definire i contorni dell’album ndr), è altrettanto vero che lo stile usato per l’occasione da Peyote appare, come da prassi, diretto e senza filtri.
Mai banale, quindi. Ma schietto e divertente come da copione.
Per dirla, insomma, utilizzando per l’occasione un linguaggio “giovane”, Willie è un artista che, guardandoti dritto negli occhi, ti parla senza mezzi termini sbattendoti sul grugno tutta una serie di verità che, troppo spesso, si è portati e tentati a mantenere sottotraccia.
Per ciascun argomento indagato, Guglielmo pone infatti domande ed osservazioni che non prevedono mai una risposta secca e banale imponendo, semmai, approfondite analisi nonché personalissime riflessioni.
Insomma, “Iodegradabile” tutto ci sembra tranne che un disco destinato a finire in soffitta, assieme a quelle cose un tempo amate e, forse, troppo presto dimenticate.
Un’opera senza data di scadenza che siamo certi saprà conservare quella giusta solidità che, ascolto dopo ascolto, pare caratterizzare da sempre l’universo musicale ed artistico del cantante torinese.
Recensione a cura di Bruno Pecchioli