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The D: United States of Mind

Testi in lingua inglese intriganti ed originali ben si sposano con sonorità che sfacciatamente rimandano ad un punk-rock dal gusto britannico che però attraversa con credibilità diverse sfaccettature sonore

DISCO: UNITED STATES OF MIND
BAND: THE D
LABEL: THE D/AUDIOGLOBE
ANNO: 2015

Si fanno chiamare The Dabbler, The Danger, The Damned e The Dario, ma Giuseppe Matarazzo (voce, chitarre, synth), Ciriaco Aufiero (chitarre, cori), Vincenzo Golia D’Augè (basso, cori) e Dario Botta (batteria, chitarra acustica, cori), sono italianissimi. Campani, per la precisione, terra che si rivela essere sempre di più una fucina di talenti notevoli.

Il quartetto forma i the D, che dopo la fortunata uscita del loro EP d’esordio “Alf”, ufficializzano nel 2015 il loro debutto nella discografia con “United States Of Mind”, realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding di successo e distribuito da Audioglobe.

“United States Of Mind”, disco di undici tracce, si presenta come un lavoro eterogeneo e ben studiato, con una cura dei suoni precisa e quasi puntigliosa. Testi in lingua inglese intriganti ed originali ben si sposano con sonorità che sfacciatamente rimandano ad un punk-rock dal gusto britannico che però attraversa con credibilità diverse sfaccettature sonore, dal folk ad un rock più tradizionale, passando, a tratti, per un piacevole elettro – pop. C’è un po’ di tutto insomma, ma l’amalgama sembra riuscire particolarmente bene a questi ragazzi giovanissimi, che riescono a mantenere intatta una loro identità ed un certo stile.

Somigliano di sicuro a sé stessi i the D, e questo è un vanto, ma se si dovesse azzardare un paragone illustre, si potrebbe tranquillamente affermare che i quattro ricordano le sonorità dei primi Green Day miste a quelle dei primi Linkin Park.

Forse non particolarmente audaci quanto a singolarità del progetto, ma indubbiamente capaci di mettere in pratica, e quindi in musica, le aspettative. Sarebbe di sicuro interessante poterli ascoltare in un album in italiano, ma nel frattempo è comunque da lodare un esordio molto più che buono in inglese.

Francesca Amodio