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LA RECENSIONE: Baustelle – L’amore e la violenza, volume 2

Bianconi ha ragione: è un disco amaro e cupo, se non fosse per gli sprazzi di spensieratezza regalati da synth, chitarre aperte e armonie vocali

Con “Violenza” e un po’ di ritardo comincia il mio ascolto dell’ultimo album dei Baustelle, uscito il 23 marzo come secondo volume di una storia, se vogliamo, già narrata un anno fa con il primo volume. Ho sempre avuto la sensazione che i Baustelle oggi, come dieci anni fa, siano più anacronistici che mai, una parentesi che si stacca dal presente e dalle correnti mainstream.

Niente Itpop, niente ironia che a Bianconi ha anche un po’ “rotto i coglioni”. C’è il ritorno a uno dei temi più “banali”: l’amore. Ma è un amore amaro e triste, come il fondo di un caffè. Attraverso dodici brani questo amore di cui tutti parlano e grazie a cui tutti vivono viene declinato in tutte le sue sfaccettature: rancore, distacco (“liberatorio”), gelosia (A proposito di lei), tradimento (Lei malgrado te).

È un amore che viene consumato e masticato, un amore che non conosce vergogna soprattutto nel dire “Mi manchi davvero lo sai?” nonostante “L’amore sia negativo”. Tornano imponenti i synth che pervadono quasi tutto il disco; sembrano dodici pezzi semplici ma è solo una sensazione da primo ascolto. Le armonie si incastrano ed ogni suono è studiato e messo al secondo e al posto giusto. Sembrano i vecchi Baustelle, quelli dei primi album, che parlano dell’amore di oggi ma senza un domani o senza un ieri. Tutto è estemporaneo e va vissuto come se ci fosse sempre un eterno “carpe diem”.

Bianconi ha ragione: è un disco amaro e cupo, se non fosse per gli sprazzi di spensieratezza regalati da synth, chitarre aperte e armonie vocali.

Benedetta Barone