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La genialità di Pablo Picasso raccontata da Emanuele Scataglini [INTERVISTA]

Chi era PABLO PICASSO? E quali emozioni suscitava con la sua arte?

Domande a cui ha tentato di dare una risposta, personale ed introspettiva, EMANUELE SCATAGLINI, artista non nuovo a sperimentazioni di genere, con l’obiettivo di raccontare (ed indagare) la Storia attraverso la musica, scandagliando tra le emozioni e le mille sfaccettature dell’inconscio.

– PABLO è il titolo del suo nuovo progetto musicale, questa volta dedicato alla figura carismatica di Pablo Picasso. Come mai questa scelta?

È un artista che ho sempre amato per la sua capacità di essere sé stesso anche nelle più diverse forme espressive. Egli, inoltre, aveva un’energia creativa incredibile, ha realizzato opere per tutta la vita. Il primo quadro lo fece quando aveva nove anni e continuò a creare. Dipinse fino al giorno della sua morte. Per lui l’arte era la vita stessa e la vita coincideva con la sua arte.

Avevo sempre desiderato dedicare qualcosa a Picasso, un brano, un testo, uno scritto, poi visto che sono i 50 anni dalla sua morte ho pensato potesse avere senso fare un album.

Amo poi Picasso anche perché è sempre un artista figurativo.

Nella pittura io prediligo artisti come Matisse, Klee, Chagall, rispetto a Mondrian, Kandysky o Mark Rothko.

Se si può fare un paragone con la musica, paragono l’artista di Malaga a Ravel, tradizione ed innovazione insieme, libertà espressiva ma conservazione della forma.

– Chi era Pablo Picasso? E qual è stata la sua influenza non solo nell’arte della pittura?

Difficile dire tutto su Picasso, è impossibile! Un tale genio artistico lascia senza parole. Egli ha vissuto una vita lunga e intensa, passando dalla Belle Époque agli anni ’70. Quante cose sono accadute nel periodo in cui ha vissuto? E non solo le guerre mondiali, ma anche le grandi scoperte scientifiche, le donne al voto, la costruzione della torre Eiffel, cinema, motori, ribellioni; dalla carrozza ai viaggi in aereo.

Picasso ha assorbito tutto questo e lo ha trasposto nella sua arte. Aveva una manualità degna dei grandi artisti del Rinascimento e un’inventiva incredibile, oltre che la capacità di alcuni artisti di essere provocatorio.

Era un uomo contraddittorio. Prendiamo il suo rapporto con le donne. Non solo amanti e mogli, non solo Fernande, Olga, o Francoise, ma anche le figure parentali come  sua madre, le sorelle Lola e Conquita, per non parlare di Gertrude Stein, l’amica e mecenate.

Nelle relazioni sentimentali Picasso si comportava come il Minotauro: imprigionava le sue amanti in un labirinto di eros, passioni e conflitti.

A me fa molto ridere la foto di Picasso che tiene l’ombrellone per coprire dal sole Françoise Gilot, a vederlo sembra un uomo succube delle donne mentre in molte circostanze si dimostrava un uomo antico, dell’Andalusia più tradizionale. Amava le corride, le mascherate, era sicuramente un misogino, però affascinante e carismatico. Aveva il senso dell’amicizia, ma anche una forma di distanza dall’atro che gli permetteva di non essere scalfito da nulla.

Dopo l’accusa di furto al Louvre fece finta di non conoscere l’amico Apollinaire.

Amava la vita in società, ma poteva stare benissimo da solo, era ironico e affabile, scontroso e crudele.

Forse il modo migliore per capirlo è vedere i suoi autoritratti.

Il suo vitalismo non lo spinse mai ad appoggiare posizioni di destra come fece Dalì ad esempio o come i futuristi. Pacifista convinto, fu un comunista che non amava il partito sovietico.

A volte sembrava indifferente alle vicende del mondo quando si rifugiava nel suo studio, nel lavoro.  Improvvisamente si ridestava e fu capace di dedicare tutto sé stesso, ovvero la sua arte, alla critica nei confronti della guerra.

Nel suo cuore, però, ci dicono le testimonianze di Dora Maar, soffriva per la deriva totalitarista della sua Spagna e del mondo.

Visse in povertà i primi anni della sua vita e poi nella ricchezza, era riservato, ma al contempo esprimeva nei quadri anche aspetti della sua personalità senza compromessi. Non voleva essere simpatico per forza, ma non riusciva ad essere completamente odioso.

Non era borioso come Wagner, ma sicuro di sé come Verdi.

Prendiamo il famoso ritratto di suo figlio vestito come un Arlecchino; è di un realismo eccezionale eppure ci sono quadri sempre dedicati alla maschera veneta in cui la scomposizione cubista è estrema.

Sapeva fare il buffone, ma era di una profondità di pensiero incredibile. Pochi sanno che trovava anche il tempo di scrivere poesie.

Io penso sia difficile da definire, un artista geniale, unico, non credo ce ne siano eguali.

-… E cosa rappresenta per lei Pablo Picasso?

Per me è il divenire delle cose, il loro scorrere in senso Eracliteo e al contempo è l’essere Parmenideo ovvero l’essenza eterna del mondo. Mi spiego meglio: nelle sue opere Picasso coglie sempre il mutare della realtà e al contempo cattura un’essenza immutabile.

Pensiamo all’opera “Famiglia dei Saltimbanchi” del 1905. I personaggi ritratti sembrano assenti dal mondo, ma la loro fisicità è definita nel minimo dettaglio. Sono esseri viventi in un paesaggio astratto. Si trovano vicini tra loro, ma al contempo sono altrove, non si guardano, sembrano non essere nemmeno consci della presenza degli altri. PABLO ci descrive la nostra incomunicabilità, la dimensione effimera della vita che scorre e se ne va, ma al contempo ci fornisce l’essenza dell’uomo come essere centrale della realtà.

Eraclito e Parmenide, quindi, divenire e ciò che resta immutabile. Infatti i Saltimbanchi danno l’impressione di essere appena arrivati e nel contempo, di non esserci più.

Divenire e permanere insieme in una dimensione dialettica,  una dualità che io rivedo in  tante opere di Picasso.

Anche nelle “Damoiselles de Avignon” vediamo il fluire del tempo attraverso la tecnica cubista, ma che lascia un elemento immutabile, che è l’essenza dell’essere umano.

Lo stesso accade quando dipinge le nature morte, che si dissolvono nel tempo eppure conservano la loro essenza.

– Entriamo nel dettaglio: musicalmente come si pone “PABLO”?

Ho voluto scrivere un disco su Picasso che non parlasse di lui ma di  alcuni temi che lo riguardano personalmente e della sua arte. Ho scritto e registrato brani molto differenti tra loro. Ci sono dei brani con protagonisti degli strumenti specifichi, soprattutto keyboards e chitarra. Ho anche scritto brani dove il synth è più presente.

Incidere per piano-keyboard è molto rischioso soprattutto per il mixaggio finale. Spesso alcuni ascoltatori si aspettano un piano più classico, che risuoni come in una sala da concerto ma per me non esiste un suono standard.

Poi melodicamente il piano per alcuni ha senso se suonato in un registro centrale e ha molte variazioni, altri prediligono un piano più di atmosfera quasi fosse un pad che non disturbi troppo.

Io credo che il suono debba essere differente a seconda dell’intenzione musicale.

Alcuni autori si affidano alla ripetizione, trovano un sound e lo ripropongono, personalmente mi piace variare, rischiare di più.

Anche i brani per chitarra sono tutti differenti, classicheggianti, dissonanti, melodici o con atmosfere circensi.

Penso sia un disco di ricerca in cui si intersecano direzioni compositive differenti. Brani elettronici, pezzi dal sapore popolare, sfumature rock, dissonanze forti, armonie più definite.

Ad esempio “The acrobat” è un pezzo al piano con un crescendo melodico semplice, mentre “Rooms and rumors” ha  come strumento protagonista la chitarra elettrica che si muove su un tappeto di percussioni e su una armonia con forti dissonanze, quasi jazz.

“Everything you can image” è un pezzo per  piano che si compone di  una melodia breve che si modifica poco nel corso del brano, è quasi rapidità, nel mezzo c’è una progressione armonica molto strutturata che diviene un ponte per riproporre il brano nelle sue parti più interessanti.

“Blind guitars” invece ha una dimensione melodica semplice e lineare: tema in minore e risposta del ritornello in maggiore accompagnato da un arrangiamento che ricorda un walzer. È un pezzo per chitarra con un suono che ricorda vagamente le feste popolari.

“Masque” invece è molto circense. La chitarra elettrica ha un suono che ricorda la musica da spettacolo acrobatico.

– C’è un filo conduttore tra “PABLO” e le sue precedenti produzioni?

Sì, il filo conduttore è il rapporto tra arte visiva e musica che avevo già affrontato in “Surreal World”. Questo è un percorso che vorrei portare avanti con altri progetti, ma in generale amo prendere ispirazione da forme espressive differenti.

– … e a quale punto si pone della sua carriera come compositore?

Questo non so dirlo, spero che chi ascolterà l’album conoscendo i lavori precedenti mi dia un feedback su Instagram

Per me è difficile dire se sono o meno arrivato ad un punto preciso del mio percorso creativo, perché io scrivo qualcosa sempre, durante la settimana, una piccola melodia, un testo, una progressione.

Ho sempre avuto una certa distanza dalla definizione di genere. Spesso mi si chiede “che genere fai?”, e io non so rispondere. Sono in imbarazzo su questa domanda, realmente anche perché nella mia attività ho scritto pezzi per contesti differenti, dalle sfilate, al circo, mi faccio trasportare dal brano, non mi interessa restare prigioniero di un determinato stile.

– Emanuele, e dopo “PABLO”? Quale altro progetto ha in mente?

Sto lavorando ad un album dedicato al viaggio nelle sue accezioni differenti: esplorazione, fuga, emigrazione. È un progetto che ho più volte iniziato, interrotto e ripreso.

È un disco con brani strumentali e cantati. Nelle mie intenzioni dovrebbe essere multilingua, italiana, inglese, spagnolo e tedesco, ma vediamo se riuscirò a portarlo a termine secondo i miei propositi. Comunque ho già registrato quattro brani, due cantati e due strumentali e ne ho scritti altri quattro che sto mettendo in metrica. È un lavoro che spero di completare per l’estate, vedremo…