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“Vivere o morire”, com’è il nuovo album di Motta…

Nove i brani per raccontare che oggi Motta è davvero contento, nove canzoni per raccontarvi dell’“ordine” che ha raggiunto e come ci è arrivato

Ho aspettato l’uscita dell’album di Motta come un tifoso aspetta il calcio di rigore che segna la vittoria. “Vivere o morire” è uscito il 6 aprile, un po’ di tempo è passato, ma è un album che richiede tempo per parlarne ed innamorarsene.

Dicono che il secondo lavoro in studio sia il più difficile, ho visto Francesco tra instore e live radiofonici sorridere e dire : “chi vi dice che il primo disco sia facile?”.

“Vivere o morire” è un bel salto nel vuoto, molto diverso dai due singoli che lo hanno preceduto (“Ed è quasi come essere felici” e “La nostra ultima canzone”). Il primo singolo infatti, in particolar modo il primo, portava con sé molto del disco precedente: melodie “storte” si incastravano a suoni a volte dissonanti e a testi scarni e veri. Già il secondo singolo, in maniera del tutto graduale apriva le danze ad atmosfere un bel po’ diverse, in cui l’amore è il tema è centrale.

Nove i brani per raccontare che oggi Motta è davvero contento, nove canzoni per raccontarvi dell'”ordine” che ha raggiunto e come ci è arrivato. È un album catartico, un album per chi ha toccato il fondo e che, pur arrancando, sta risalendo nel modo giusto, col sorriso. Motta sembra aver mollato il freno inibitorio, saranno i trent’anni? Tutto risulta più sentito, più fresco, non che nel primo album non lo fosse, ma arriva tutto in modo diretto come uno schiaffo in faccia. È l’album di un cantautore che mostra il fianco destro, mettendo in gioco sani dolori sotto forma di riflessioni personali, urlati in silenzio, un album di quelli che dici ci “Pensi un po'” su.

La varietà di suoni è impressionante, le atmosfere sono abbastanza “unplugged” se non per un paio di pezzi, mi viene in mente “Per amore e basta”. Noto un approccio alla composizione totalmente diverso rispetto al primo disco: le canzoni sembrano pensate in modo “egoistico”, come se dovesse lui stesso spiegarsi delle cose e poi condividerle con gli altri (e con la band). Portante è il ruolo delle percussioni, delle tastiere e degli archi. I suoni sono molto morbidi e accompagnano l’ascolto in un modo molto “morbido”.

Se vi state chiedendo se mi piace questo disco, la risposta è: assolutamente sì. Mi è entrato sotto la pelle dopo il primo ascolto e molte frasi mi sono rimaste in testa per giorni come lanternine. Una cura spaventosa dei suoni, il timbro tanto particolare quanto per qualcuno “fastidioso” di Motta che risuona fortissimo in ogni pezzo, anche quando sussurra. Questo è un disco di chi ha il coraggio di cambiare rimanendo sé stesso.

Benedetta Barone