“Sulla cresta dell’ombra” (Fiabamusic/Believe) è il settimo album dei The Bastard Sons Of Dioniso. Un album caratterizzato dalla bellezza e dalla nudità di un ritorno all’acustico che ha cambiato veste anche ai brani più noti del trio trentino, permettendo al loro pubblico di scoprire le nuove sonorità della band attraverso dodici tracce, di cui due inediti e una cover. Michele Vicentini (voce, chitarra), Jacopo Broseghini (voce, basso) e Federico Sassudelli (voce, batteria) ci hanno raccontato questa loro nuova esperienza.
– Il grande pubblico italiano vi ha conosciuto nel 2009, quando arrivaste secondi in un talent show molto popolare, X-Factor. In realtà già suonavate in giro da diversi anni, pertanto avevate alle spalle una certa gavetta. Fatto positivo o negativo per quel tipo di esperienza?
Guarda la risposta è molteplice, nel senso che probabilmente se il palco di un talent rappresenta la tua primissima esperienza su un palco in assoluto, forse fai meno fatica ad accettare un certo tipo di dinamiche che si mettono in atto all’interno di un programma così particolare. Se invece, come nel nostro caso, hai già maturato diversi anni di esperienza, nonché un consolidato gusto musicale, magari fai più fatica. Ad esempio per noi era stranissimo non poter portare i nostri strumenti sul palco ma cantare sulle basi, noi siamo musicisti e naturalmente un musicista vuole suonare, ma quella era una delle regole del gioco a cui nessuno poteva sottrarsi. Noi comunque non rinneghiamo nulla, anzi, se oggi ci chiamano a suonare in tutta Italia è anche grazie alla popolarità che ci ha dato X-Factor e di questo non possiamo che essere molto contenti.
– La copertina del vostro ultimo disco, “Sulla cresta dell’ombra”, rimanda un po’ alle celebri immagini della Grande Onda di Kanagawa: rimando voluto oppure no?
In realtà non proprio. Nei precedenti dischi solitamente mettevamo come copertina delle fotografie, stavolta invece abbiamo chiesto ad un nostro amico grafico di farci delle proposte e questa è quella che ci è piaciuta di più. Chiaramente un minuto dopo abbiamo pensato che c’era effettivamente una somiglianza, ma ci sono anche diverse differenze: l’onda è rivolta verso sinistra e non verso destra, squarcia un cielo stellato e la forma dell’onda stessa rimanda un po’ a quella di una montagna, ovvero alle nostre origini.
– Fareste mai un disco utilizzando il crowdfunding?
Non siamo né totalmente a favore ma neanche completamente contro. Come tutte le cose anche in questa nuova modalità di finanziamento alla musica ci sono dei pro e dei contro, anche se non è certo colpa del crowdfunding se c’è stato un crollo del mercato musicale, italiano ma non solo. Probabilmente noi non faremo mai un disco utilizzando questa modalità, ma magari un vinile sì: nel senso che sarebbe una valida alternativa per finanziare progetti un pochino più particolari, come appunto un vinile, realizzati proprio per i nostri fan particolarmente amanti del progetto, anche perché in questo caso avremmo la certezza che un preciso numero di persone ha finanziato la cosa e quindi comprerebbe il vinile e non ci sarebbero copie invendute. Ecco, per questo tipo di progetti potremmo utilizzare il crowdfunding, ma non per un disco vero e proprio.
– Con quale personaggio vi sarebbe piaciuto o vi piacerebbe farvi una suonata?
Beh con tantissimi, ma ti diciamo i primi tre che ci vengono in mente. Una suonata sarebbe divertente farsela con Elio, magari con i bonghi a Parco Sempione! Mentre più che una suonata, non sarebbe stato male farsi una bicchierata in un bar assieme a Robert Johnson e Lemmy Kilmister, magari giocando alle slot machines tra una chiacchiera e l’altra.
– Il vostro è sempre stato un rock molto sui generis, pacato, quasi fiabesco, beatlesiano. L’ultimo disco poi è un ritorno alla dimensione acustica, i pezzi sono spogliati del loro sound elettrico e suonati così come sono stati concepiti all’inizio. Mi raccontate un po’ questo viaggio musicale?
Beh nessuno di noi ha mai ascoltato gruppi tipo i Fugazi, per dire, quindi questo dipende anche un po’ dalle influenze musicali che abbiamo, ovviamente. Tant’è che spesso chiediamo alla gente quale band potremmo ricordare, ma ci rendiamo conto che è difficile trovare una risposta, un accostamento musicale immediato. In questo disco in particolare ci siamo divertiti appunto a prendere le canzoni e a farle diventare qualcos’altro, facendole suonare con altri strumenti, tipo il flauto o gli archi degli Gnu Quartet. Prendere una canzone come ad esempio L’Amor Carnale, che tutti conoscevano in un’altra versione, e spogliarla quasi del tutto lasciando solo la melodia, è stato anche un modo per far capire il tipo di ricerca sonora che abbiamo voluto attuare in questo disco. Avendo la fortuna di avere uno studio nostro, abbiamo avuto tutto il tempo che volevamo per maturare dei concetti e concretizzarli all’interno del disco, senza fretta e senza seguire le direttive di nessuno. Abbiamo quindi seguito le nostre attitudini naturali molto liberamente, facendo sì che da un’idea inziale riguardo a una canzone potessimo alla fine arrivare a tutt’altro.
– A cosa vi è servita, quindi, la scrittura di questo disco?
Fondamentalmente a tre cose: a registrare canzoni che suonavamo da anni ma che non erano mai state incise, a capovolgere totalmente il nostro approccio alla scrittura e, naturalmente, a realizzare la voglia di suonare e registrare cose nuove. Realizzando un album acustico ci siamo, sinceramente, emozionati molto e il nostro intento era appunto quello di fare un disco onesto che riuscisse ad emozionare il nostro pubblico. Speriamo di aver centrato l’obiettivo!
Francesca Amodio