Indie. Parola sentita, talvolta abusata, confusa, mal compresa. Genere musicale o modo di produzione. Quanto ne sappiamo di musica indipendente, delle piccole, tante produzioni, etichette, degli staff, degli artisti che coltivano la controcultura musicale della Penisola? E dei generi che animano questi dischi?
A dare delle risposte da vent’anni precisi in Italia è il MEI, meeting delle etichette indipendenti, con un centro pulsante che è Faenza, dove ci si riunisce ogni anno per fare il punto, tastare il polso di quel mondo musicale contemporaneo che è fuori – o ancora fuori – dal mainstream. Un appuntamento che trova qualche nota in più: un Mei itinerante che si muoverà per il Paese lungo strade meno battute, attraverso le province per far conoscere cantautori e gruppi e contaminarsi con le realtà locali. Un giro stagionale che parte da casa e ci vuol tornare arricchito. Una carovana, quella del SuperMei Circus che nasce da un‘idea di Saro Poppy Lanucara, da sempre nel mondo dell’organizzazione di eventi e della comunicazione; un animale sociale, come si definisce, che ha imparato il lavoro sul campo, viene dall’esperienza dei circoli Arci, è stato a Roma uno tra i fondatori del Circolo Forte Fanfulla, oggi alla barra di questa nuova avventura. Un visionario al quale il Patron Sangiorgi ha affidato parte di un nuovo corso.
– Come è nato questo incontro?
E’ capitato per caso, dalla collaborazione diretta dell’Arci e non pensavo sarei stato io il prescelto per cominciare questa nuova impresa. Abbiamo differenza di vedute su alcune cose; riconosco a Giordano una lungimiranza strabiliante nel capire i processi di trasformazione, è un imprenditore molto bravo che sa come muoversi. Quello che ho più apprezzato è che mi abbia lasciato libertà d’azione, si è fidato anche quando l’idea che proponevo poteva sembrare davvero naif: il gioco del circo, tutta questa metafora, aver trovato in Giordano una sponda mi ha fatto estremamente piacere e anche stupito. Ho tanto di cui ringraziarlo e spero che lui si fidi di questa visionarietà che una direzione artistica così, comporta.
– E qual è il nuovo corso?
Il Mei è rimasto tale, seppur rinnovato: lo scorso anno Sangiorgi ha annunciato un momento di rottura con la sua storia precedente e mi ha chiesto di impegnarmi sulla Targa Giovani. Io ne ho approfittato, ho eliminato la targa e la premiazione sulla categoria giovani e trasformato questa piccola parte di Mei in un nuovo format itinerante, che fa sua la metafora del circo: partendo da Faenza, questa carovana di talenti che la musica italiana, e spero anche estera, produce, viene messa in condizioni di girare per le province dello Stivale. In Italia la musica viaggia sull’arteria principale, mentre abbiamo grosse difficoltà sulle reti capillari: immaginarsi un concerto di un buon artista in una piccola provincia è molto difficile per costi e conformazione geofisica della Penisola, quindi un bel concerto a Roma si fa, a Pescara è più difficile.
– In che situazione versa la promozione della cultura e della cultura musicale nella fattispecie?
La situazione è un po’ lenta ma il fermento è tanto e tanta la gente che si impegna: ci tante professionalità all’interno di questa piccola industria, musicale e culturale in genere. In questo momento c’è poca differenza tra un concerto, un reading uno spettacolo teatrale, i problemi sono gli stessi: lo spazio dove organizzare, la sostenibilità dell’evento e il riconoscimento professionale dell’artista e di tutti i lavoratori che stanno dietro la realizzazione di uno spettacolo di un qualsivoglia evento artistico.
– Qual è il motore principale di quest’attività?
La passione e l’estrema convinzione della necessità di tener vivo il fermento culturale, sia a livello produttivo che organizzativo, quindi anche professionalità come il fonico, il booking, i giornalisti. Tutto un mondo che ruota intorno alla passione.
– In che modo si estrinseca fattivamente la tua idea itinerante?
Sarà molto eterogeneo, con il coinvolgimento di un rooster o meglio una formazione di base con varie realtà come gli Zoo di Berlino della provincia romana, La Fabbrica Dischi, La Fabbrica di Bologna, la realtà giornalistica di Exit Well, la Electro Label, la Fame Dischi, la stessa Locusta, per citare qualche nome, per selezionare questi artisti itineranti. Dopodiché dobbiamo somministrare di tappa in tappa quelle che sono le cose più adatte alla situazione nella quale ci troviamo.
– Da dove parte l’avventura?
La prima tappa del Super Mei Circus si svolgerà tra qualche giorno a Pescara all’interno del Festival delle Letterature dell’Adriatico. Tre giornate in cui con il Mei e il Super Mei Circus incastreremo degli eventi nello scenario del festival: il 5 con la produzione di Giordano Sangiorgi, che presenterà anche il suo libro; ci sarà Pierpaolo Capovilla con un reading dedicato a Pasolini, che viene riproposto qui per il quarantennale dalla scomparsa del regista. Si prosegue con Giovanni Truppi vincitore di quello che era il Premio Giovani, oggi miglior talento del Mei 2015. Abbiamo invitato Paolo Zanardi di cui esce il disco in questi giorni: un capolavoro che si spera non rimanga per gli addetti ai lavori. E poi i Dada Circus che sono invece una giovane realtà della provincia romana, espressione pura di coloro che dalla saletta prove in cui ci si autoproduce, cercano di fare il salto per poter suonare sui palchi. Un’altra cosa che facciamo col circo è quella di guardarci intorno sul luogo e abbiamo trovato i Voina Hen, una power band abruzzese, di Lanciano, di ottimo livello.
– Parliamo sempre comunque di generi disparati?
Sì anche perché parlando della definizione indipendente, la parola “indie” ha rischiato di essere confusa per un genere: spesso capita che gli stessi gruppi ti dicono che fanno indie! Che è piuttosto una condizione del momento.
– E rimarrà tale? Il vostro scopo anche attraverso questa iniziativa è quella di rimanere indie oppure diventare un po’ più centrali nell’attenzione del pubblico o delle istituzioni o di case discografiche che hanno maggiori mezzi produttivi?
Sulle istituzioni c’è voglia di far percepire quale sia lo spessore della produzione musicale o culturale in genere; la condizione di indipendente penso possa essere sia momentanea che ad oltranza. Certamente a nessuno va negato il diritto di tendere verso il mainstream che comunque rappresenta una vittoria per un artista: essere riconosciuto e riconoscibile. Anche se nell’ambiente indie, spesso piovono critiche verso chi ha l’occasione di fare qualcosa in più: qualcuno ha dovuto giustificarsi per essere andato a Sanremo!
– Uno che è decisamente riconoscibile è Mannarino, il quale ha vinto un’edizione del Mei.
Alessandro Mannarino viene dalle esperienze dei club, è stato molto bravo nel percepire la richiesta del pubblico e a guardarsi intorno. E’ stato bravo a tirare fuori dallo scatolone tutta un’epopea musicale che era stata un po’ dimenticata: la canzone romana, quelli che erano gli stornelli; l’esperienza sviluppatasi tra Gabriella Ferri, Califano passando per Rino Gaetano. Mannarino è forse l’ultima esperienza che è riuscita fare un piccolo salto verso il mainstream in maniera classica.
– O meglio?
La maniera classica cioè faccio concerti e a furor di popolo, come è successo a Capossela, divento riconoscibile e porto in giro la mia arte. Un Mannarino, so per certo che tante serate se le è sudate, tante esperienze le ha dovute trovare, passando anche per meeting come il Mei. Quindi si è fatto tanta gavetta e con tanta voglia.
– E’ un esempio positivo.
Si. Non è positivo quando viene attaccato se fa altri passaggi. Ho un altro esempio in fieri. Un giovane ragazzo di Latina, Eduardo Calcutta, molto bravo, ha trovato una sua chiave di lettura, anche lui con dei chiari riferimenti ad una scena cantautoriale classica italiana, bolognese, romana. Sta per uscire con un nuovo disco che strizza l’occhio al pop: sta cercando di costruirsi un bel vestito che esalti le sue qualità principali. Non vorrei che questo lo mettesse sotto i riflettori della critica di tutta la scena underground.
– Critica da parte di chi e perché?
Dei colleghi e degli amici! In quest’ambiente, c’è sempre una tendenza ad additare chi prova a fare un salto in avanti, come venduto e a dimenticare quello che è poi il vero motivo per cui tutti si mettono in gioco. Tra salire su un piccolo palco di un piccolo circolo Arci e salire su un grande palco di un grande teatro in ogni caso ci vuole coraggio.
– In questo essere itinerante non fate distinguo di genere?
No, l’obiettivo è portare nelle province e in luoghi più lontani, il fermento che si vive in altre città, quindi tanto contatto, l’obiettivo è contaminarci a vicenda. E un modo per andare a ricercare nei singoli luoghi quelle che sono le avanguardie e gli avanposti del fermento culturale della provincia.
– Oltre Pescara che tappe avete?
Stiamo lavorando su Trieste con l’aiuto di Radio Tweet Italia; si parlava di organizzare una data in provincia di Frosinone; c’è il desiderio di fare una data al sud (Reggio Calabria e Catania, le opzioni attuali) e la voglia di tornare a Roma; abbiamo richieste da Firenze, stiamo provando a lavorare su Milano ma ripeto ogni tappa deve essere vagliata sulla sostenibilità, ogni tappa avrà modi di produzione diversi che andranno ad identificarsi sulla situazione stessa, come sta accadendo su Pescara, dove siamo stati invitati dal Festival delle Letterature ed anche agevolati da queste persone che di per sé sono “illuminate”.
– E’ un invito prestigioso?
Invito molto prestigioso, ci troveremo fianco a fianco con alcune delle migliori realtà culturali italiane. E come Mei Circus porteremo anche la poesia con Guido Catalano, rappresenta la parte indipendente che sta tentando su questa strada, con successo.
– A proposito dell’itinerante: ha una durata?
E’ stagionale. Pensiamo ci sia necessità di fare un giro per l’Italia durante l’anno, ricontrarci a Faenza come tappa numero zero di ogni stagione, portare a casa tutte le contaminazioni che avverranno e rimettere in moto la carovana del circo. Obiettivo non è più aspettare o selezionare in maniera astratta gli artisti, ma viverli sui palchi che gli diamo l’occasione di calcare, fuori dagli studi di registrazione. Il Circus diciamo… è tutto questo. Itinerante… che vuol dire andare in giro, portare e cercare. E poi ritornare a Faenza per fare il punto della situazione, in un momento di incontro e di riflessione su quella che è stata l’evoluzione annuale di tutto il viaggio.
– Speranza e missione della tua “visione”?
In questo momento la scena italiana è frammentata e ci sarebbe grande necessità di tornare ad una unità nazionale che riporti al centro tutto e non solo parte del fermento; smettere di distinguersi per generi, tra chi è più puro dell’altro, chi è più indipendente di un altro: questa è la vera sfida!
Sara Cascelli