INTERVISTE

Signor K: “Saremo Tutto” [INTERVISTA]

Uno dei giovani rapper più interessanti della scena italiana attuale si racconta

È uscito il 19 febbraio “Saremo Tutto” (Bonnot Musica / Goodfellas, 2016), l’esordio discografico di Emanuele Belotti, meglio conosciuto come Signor K. Uno dei giovani rapper più interessanti della scena italiana attuale si racconta in questa intervista, in cui parla delle forti tematiche sociali contenute nel suo disco, prodotto da Bonnot degli Assalti Frontali, e sfata alcuni luoghi comuni che gravitano attorno al rap e all’hip – hop.

– Il disco è denso di collaborazioni importanti, da Inoki Ness a O’ Zulù dei 99 Posse, passando per gli Assalti Frontali. Come scegli i tuoi ospiti?

Questo è un disco molto connotato, politicamente parlando, in cui ho operato delle scelte di campo molto forti pezzo per pezzo, ovvero ogni brano affronta una tematica specifica. Per cui mi sono regolato in base alla comunanza di visione del mondo che so di avere con tutti questi artisti che ci sono nel mio disco, ai quali sono legato non solo musicalmente ma anche da un rapporto d’amicizia e con i quali sapevo già in partenza di poter condividere un determinato mio brano.

– L’attitudine al rap è naturale oppure è qualcosa che si impara?

Beh come qualunque cosa c’è di sicuro chi è più portato e chi è meno portato, ma non penso sia una questione di predisposizione genetica. Penso sia un’attitudine personale e una questione di interesse nei confronti di una disciplina piuttosto che di un’altra. Il rap e l’hip-hop sono due generi fruibili, accessibili e riproducibili per chiunque: nascono nei ghetti americani grazie a ragazzi giovanissimi che non avevano chissà quale formazione musicale alle spalle, ed in tal senso questo tipo di musica è stato ed è tutt’ora uno strumento di comunicazione molto potente e accessibile a chiunque, nonché di una straordinaria immediatezza.

– Al giorno d’oggi, il rap è relegato alla sola forma di protesta o ha subito un’estensione in questo senso?

Ha assolutamente subito un’estensione. Non a caso il rap ha attraversato un processo di grande trasformazione ed evoluzione, visto che è una cultura che ha ormai oltre quarant’anni di vita. All’inizio il rap è stato definito come la “CNN della strada”, ovvero al servizio delle classi subalterne, perché fin dall’inizio è stata la voce degli esclusi, soprattutto in alcuni paesi europei come la Francia. Oggi le cose sono cambiate, è difficile distinguere in alcuni casi l’rnb dalla pop music, se pensiamo ai casi di star come Rihanna o Beyonce, per citarne due. Nel momento in cui l’hip-hop si fa società e acquisisce le dimensioni di un fenomeno di massa, non perde certo la sua origine protestataria e conflittuale, ma acquisisce comunque mille altri volti diversi e molteplici.

– C’è chi dice, provocatoriamente, che il rap è tutto uguale. C’è un fondo di verità o è invece possibile identificare degli elementi contraddistintivi per ciascun rapper?

Sicuramente un intenditore o comunque un amatore del rap non fa certo fatica a ravvisare elementi di diversità ben definiti, che cambiano da rapper a rapper. Ci sono i conservatori e gli innovatori, ad esempio in fatto di scelte metrico – stilistiche, giusto per citare un caso. Ci sono quelli con uno stile più morbido, altri hanno uno stile più hard-core, ma indubbiamente questo è un discorso estendibile in realtà a tutti i generi musicali, soprattutto oggi: c’è talmente tanta offerta sul piatto musicale che non sempre gli autori riescono ad assomigliare a loro stessi e di conseguenza un ascoltatore, magari un po’ superficiale, tende ad associarli. Penso però che questo sia un discorso valevole per molti generi. A me capita quando ascolto rock ‘n’ roll, per dire. Personalmente ritengo che il rap non sia un vero e proprio genere musicale, io lo considero più una forma di espressione poetica e quindi alla fine ciò che conta sono le parole e come queste vengono messe insieme e coordinate fra loro.

– Com’è nato “Saremo Tutto”?

È nato dal bisogno e dall’esigenza di raccontare ciò che vivo e ciò che vedo intorno a me. Il messaggio di questo disco è affidato alla ricostruzione delle mie esperienze e del mio vissuto, pertanto è anche il risultato della mia anima poliedrica, per così dire. Io sono stato un attivista, per più di un decennio vicino a quella che è la realtà dei centri sociali, e lo sono tutt’ora. A molte delle battaglie che descrivo nei testi ho partecipato in prima persona ed ho avuto modo di approfondire certe tematiche attraverso la mia professione di ricercatore, penso alla questione delle politiche abitative e del diritto alla casa, per esempio. In questo senso l’album è lo specchio del mio vissuto ed è anche un modo di comunicare esperienze e temi che mi stanno molto a cuore.

– Due nomi che ti hanno formato musicalmente?

Fabrizio De André e i Nirvana.

– Con chi ti piacerebbe collaborare in futuro, sognando in grande?

Se devo sognare in grande allora la sparo grossa: con i Rage Against The Machine.

Francesca Amodio