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QUBE GENERATION: l’armonia di mille radici curata da Manuel Volpe

Manuel Volpe fa il giro del mondo con le sue mani e con quelle della Rhapdomantic Orchestra con un disco dal titolo “Albore” di Lounge etnico di raffinata poesia e delicatezza

Ci si lascia cullare. Che poi dal mare e dalle onde proviene questo disco. E proviene anche dal resto del mondo meno conosciuto. Proviene dai cori Yoruba dell’Africa oppure dai rumori polverosi di una grande città piuttosto che dal lounge di qualche locale notturno. Poi ci giriamo attorno e i grandi media passano sempre la solita preconfezionata moda di design digitale di poco conto e bellezza. Manuel Volpe invece fa il giro del mondo con le sue mani e con quelle della Rhabdomantic Orchestra con un disco dal titolo “Albore” di Lounge etnico di raffinata poesia e delicatezza, lasciando le tracce di quello che è stato per quello che sarà. Il presente, sinceramente, ci interessa molto poco…

– “Albore” fa il giro del mondo ma di certo non si ferma nelle grandi città industrializzate. Come mai?
Credo che la città in “Albore” sia molto più presente di quanto possa sembrare. Di certo è il punto di partenza del viaggio, nonché luogo privilegiato per cogliere la complessità del mondo in cui viviamo e il continuo intrecciarsi di storie, culture e identità.

– Perdona il paragone ardito ma sempre con molto rispetto e giuste misure. “Albore” lo penso simile a “Crueza de ma”. Un viaggio alla ricerca di suoni e di racconti tra la gente e nella vita meno “televisiva”. Sei d’accordo?
Con le giuste misure sì. La comprensione di questa complessità può avvenire soltanto attraverso una ricerca, un’indagine sulle singole voci che la compongono. Sono affascinato dalle diverse verità di cui ogni individuo è portavoce e tento di tenermi alla larga da quelle cosìdette “ufficiali” che non sono altro che le voci di chi grida più forte.

– Quante Marche hai portato nel tuo giro del Mondo?
Le Marche sono il luogo in cui sono nato, quindi sono una parte molto importante della mia storia. Detto questo provengo da una famiglia siciliana, pertanto non rappresentano a pieno quelle che sono le mie radici. L’unico riferimento esplicito alle Marche è in “Wheat Field”, l’ultimo brano del disco che altro non è che il ritorno a casa.

– Rhabdomantic Orchestra da una parte e mondo digitale dall’altra. Chi vince? Alla fine l’equilibrio, ancora oggi, è sempre al centro?
Di sicuro vince l’Orchestra, la musica d’insieme, la condivisione e il confronto. In “Albore” di digitale non c’è nulla se non il mezzo con cui abbiamo inciso le esecuzioni. C’è un po’ di elettronica qua e là, ma comunque di matrice analogica.

– “Nostril” e il suo bellissimo video… chi è e cosa rappresenta quel ragazzo di colore che viaggia in quella città?
Sono contento che ti sia piaciuto. Il ragazzo si chiama Best, un nome meraviglioso che già da solo è capace di evocare una storia. Per me non rappresenta nè più nè meno di un viaggiatore lontano da casa alla scoperta di una nuova città. Sei anni fa, arrivai per la prima volta a Torino dopo aver trascorso la mia vita in piccole cittadine di provincia nelle Marche. Ricordo che la cosa che mi piaceva di più fare era vagare senza meta per le vie della città in cerca di qualcosa che somigliasse a casa mia.

– Quanto è sconosciuta una città, la nostra città, la stessa che non ci siamo mai fermati ad osservare davvero?
Moltissimo. La città è un essere che vive, cresce, muta e si evolve, si arricchisce o si impoverisce ogni secondo che passa. Ne facciamo un uso funzionale ai nostri bisogni e per questo concentriamo la nostra attenzione solo su un piccolo numero di elementi. Poi ad un tratto, capita di alzare lo sguardo e come per magia appare uno scorcio, una luce o un profumo che non avevamo mai colto prima di allora.

Paolo Tocco

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