Dopo un tour europeo che l’ha vista concedersi alle locations più suggestive d’Europa, M¥SS KETA torna nella nostra penisola per le ultime, imperdibili, date del suo “Paprika Tour”. E’ il 16 novembre e sono in fila per entrare al Duel Beat di Pozzuoli. Le condizioni meteorologiche sono ossimoriche rispetto al party super glamour che ci aspetta all’interno, ma stringo i denti, fra una sigaretta e qualche nocciolina.
Ore 20:30: sono dentro e mi separano pochi centimetri dal palco. Veniamo accolti dai 291out e da Bop, interessante commistione di tradizione ed innovazione, che richiamano la mia attenzione, fondendo prog rock, jazz ed elettropop. Il club si riempie a poco a poco.
Sono le 22 circa: l’attesa è terminata.
M¥SS KETA arriva sul palco con un’aureola floreale ed i suoi immancabili occhiali da sole, infondendo nell’aria quella magia che solo una diva irraggiungibile può irradiare. Il synth rock di “Main Bitch” apre la serata e coinvolge l’eterogeneo pubblico, che canta e balla, fra flash, pellicce rosa pastello e pure qualche richiesta di adozione!
La nostra sugar mama si destreggia, invece, fra tracce nuove, provenienti dell’ultimo disco, “Paprika”, come “100 rose per te”, “Clique” e “B.O.N.O.”, e vecchi successi, come “Burqa di Gucci” e “In gabbia”, celebrando un estetismo, che si esprime non solo attraverso abiti succinti Dior, ma anche e soprattutto attraverso la rivendicazione del proprio io ed il conflitto con la convenzione, con il pessimismo ontologico, con la pretesa di piacere ad ognuno, facendo, talvolta, del proprio corpo l’unica arma vincente (ne è prova la martellante “Le faremo sapere”).
Keta, oltre che ricamare rime al veleno su beat funk e dirty house, interagisce con noi “cuccioli sexy” per verificare brano dopo brano quanto alto sia il “livello di adorazione” ed offre intermezzi parlati, in cui esprime il proprio bisogno di evasione ed approda in mondi segreti e per i più paradossali, in cui la mutevolezza della donna è correlata ad una società di vizi e consumi e l’incivilimento freudiano è pura utopia: la donna seduce ed abbandona, senza sottrarsi all’impulso o chinare il capo.
Manifesto di questa consapevolezza sono brani come “Una donna che conta”, “Botox” e, sopra tutte, “Le ragazze di Porta Venezia”, che ha eccezionalmente visto, duettare Keta e La Niña , un nome che sono certo non tarderà ad ampliare il proprio raggio d’azione (quest’ultima ha, poi, presentato anche un brano inedito, “Vipera”). Quello di Porta Venezia è un quartiere avvolto dai colori dell’arcobaleno, teatro di insorgenze popolari in passato, oggi simbolo di progresso e di integrazione, in cui l’angelo dall’occhiale da sera si aggira, libera da ogni compromesso, a suon di tacchi vertiginosi. L’entusiasmo è parecchio palpabile e non si affievolisce neppure per un attimo.
A concludere questo viaggio, che porta via voce, cuore e mascara, ci sono due pezzi iconici: la contagiosa “Pazzeska”, che passa fra i libri di storia, citando donne audaci, come Cleopatra e Maria Antonietta, ed è finita, poi, sui tavoli della Treccani, e “Milano, sushi e coca”, singolo di debutto della regina del clubbing milanese, che si racconta, accerchiata da Miuccia e La Iban, sue fedeli e carismatiche performers. L’inchiesta della procura di Milano porterà inevitabilmente all’arresto: l’eccesso di favolosità non si può più ignorare.
Vincenzo Parretta