I Marta Sui Tubi sono, attualmente, uno dei gruppi più originali ed estrosi in circolazione in Italia. Quest’anno, dopo aver ristampato “Muscoli E Dei” – arricchito per l’occasione da cinque tracce extra – ed essere ritornati alla formazione originale, trascorreranno l’estate in tour per poi iniziare a lavorare sul nuovo album. Noi di Qube Music li abbiamo incontrati in occasione del concerto romano ed abbiamo posto qualche domanda al loro frontman Giovanni Gulino. L’intervista.
– Il 3 marzo è tornato disponibile, dopo diversi anni, il vostro album d’esordio e – nel mese di giugno – siete tornati ad essere un trio; sentivate il bisogno di ritornare alle vostre origini?
In verità non credo che l’intento fosse quello di tornare alle origini. Negli anni, infatti, il nostro lavoro di ricerca sonora non ha mai subito arresti. Il desiderio di sperimentare, cambiare di volta in volta seguendo quelle che sono le nostre influenze musicali – che si evolvono costantemente perché ascoltiamo tantissima musica – ci ha portato semplicemente a desiderare di ripartire ora da quel tipo di attitudine, da quel suono e non da quel genere musicale.
– Quale direzione sta prendendo il vostro sound in questo momento della vostra carriera?
Ci stiamo incattivendo leggermente. Le ultime cose che abbiamo provato in studio sono molto robuste e la cosa non mi dispiace affatto. Ci piace l’idea di avere un suono più diretto, senza fronzoli, che ti spara in faccia un po’ di cattiveria.
– Quindi state lavorando ad un nuovo disco?
Si. Diciamo con frenetica calma.
– Com’è nata l’idea della collaborazione con Cristina Donà per il concerto di Roma?
Cristina la conosciamo da sempre: è uno dei personaggi di spicco della musica indipendente italiana, anche se è alquanto riduttivo definirla in questo modo. È una grandissima cantautrice e nutriamo un’enorme stima nei suoi confronti. Io comprai il suo primo album “Tregua” nel ’97 e m’innamorai perdutamente della sua musica; quindi salire sul palco con lei, per me, è la realizzazione di un sogno. Il fatto di telefonarci, scriverci mail, scherzare, cantare assieme è qualcosa d’importante e prezioso, che speravo di fare da tempo.
– Pensate d’inserire una cooperazione con lei nel vostro nuovo lavoro?
Questo non lo so. Non ne abbiamo ancora parlato, perché – veramente – il nuovo disco è ancora tutto da vedere.
– In questi anni avete lavorato con tantissimi artisti diversi, ma quale di queste collaborazioni vi ha segnato maggiormente e per quale motivo?
Lavorare con un elemento esterno alla band è – ogni volta – un’occasione di arricchimento; ci piace confrontarci con gli artisti che amiamo, anche se non sempre gravitano nel nostro mondo, magari perché sono più grandi di noi in termini di carriera o vendite, oppure perché totalmente differenti per il genere musicale. Cooperazioni improbabili sono state, ad esempio, quelle con Bobby Solo o Caparezza – che fa rap – con cui abbiamo orchestrato delle cose dal vivo. Abbiamo suonato praticamente un po’ con tutti – da Manuel Agnelli degli Afterhours ai Marlene Kuntz, da Malika Ayane ad Enrico Ruggieri ed Antonella Ruggiero – ma sicuramente la collaborazione che più ci è rimasta nel cuore, che è legata ad un fattore sentimentale, è quella con Lucio Dalla che abbiamo conosciuto pochi mesi prima della sua dipartita, riuscendo a registrare assieme un’unica canzone che – alla luce dell’accaduto – ha assunto un significato speciale, portando in sé un qualcosa di unico. Lucio era una persona stupenda: potevi star ore ad ascoltarlo senza mai annoiarti, perché era un istrione oltre ad essere un grande artista; riusciva ad incantarti per il modo in cui ti raccontava le cose, utilizzando mille esempi e metafore, era dotato di una capacità oratoria veramente unica.
– C’è un artista straniero con il quale vi piacerebbe lavorare?
Ma lo sai che non ne ho idea! Non credo che molti artisti stranieri vorrebbero lavorare con noi se non ci conoscono. Noi siamo una band proprio italiana: cantiamo in italiano, siamo distribuiti solo in Italia, quindi siamo conosciuti solo all’interno della nostra penisola, dunque andare a fare un qualcosa con uno straniero potrebbe essere affascinante, ma forse risulterebbe un po’ forzato ed è proprio per questo che non ci abbiamo mai pensato. Chiaramente sono moltissimi i musicisti internazionali che ci piacciono. Anche se la maggior parte però sono morti!
– Forse sono gli stessi che piacciono a me! Ma, passando ad un altro argomento, qual è la parte più stimolante del vostro lavoro?
Noi siamo molto fortunati perché facciamo un bel lavoro, di quelli che nell’immaginario di un ragazzo appartengono più alla sfera dei sogni che a quella della realtà, ma a volte può capitare di non viverlo più come una passione bensì come una professione: in quel momento ti devi fermare e resettare il cervello, perché la dimensione deve essere sempre quella del divertimento, devi saperti divertire! Se hai quello spirito ogni aspetto di questo lavoro è bello: fare le interviste, le prove in studio, salire sul palco, starsene in stanza da soli a scrivere, ecc. Dipende semplicemente da come ti poni nei confronti di questa arte. Dato che questo è un mondo dove sei tu a dover dare qualcosa prima di ricevere, devi cercare sempre la verità nelle cose che scrivi, nei rapporti che intrattieni, tentando – in qualche modo – di mantenerti puro, perché se perdi questa rotta tutto inizia a sembrarti stancante o brutto e lo vivi come se andassi a lavorare in banca o alla posta. Ma noi facciamo tutt’altro, il nostro compito è quello di emozionare le persone e per farlo noi per primi dobbiamo essere in grado di saperci emozionare. Quindi – nel nostro lavoro – tutto è bello, se stai bene!
– Trovo bellissimo che – dopo tanti anni – lo viviate ancora come una passione. Non tutti sono in grado di farlo!
Ci sono artisti che iniziano la loro carriera con questo tipo di attitudine e poi si scontrano con le esigenze del mercato o della casa discografica che li pressa affinché vendano di più, costringendoli – in alcune occasioni – a snaturare quelli che sono i loro gusti musicali in favore di materiale più commerciale. Per quanto ci riguarda, non vogliamo assolutamente scendere a questo genere di compromessi, abbiamo sempre portato avanti una politica di totale indipendenza, producendo noi stessi i nostri dischi. Quindi nessuno può dirci quel che dobbiamo fare. Se non il pubblico.
– Grandi! Ma dimmi, in dodici anni di onorata carriera cos’è cambiato nel vostro modo di approcciarvi alla musica e cosa – al contrario – è rimasto immutato?
In questo caso posso parlare per me e non per Carmelo od Ivan. Probabilmente dodici anni fa avevo dei gusti musicali diversi rispetto ad ora; ero forse un po’ più chiuso – ascoltavo pochi generi ed artisti – mentre oggi invece mi piace un po’ tutto. Ho imparato che la musica è tutta bellissima e mi piacciono le canzoni anni ’30 – il post-operetta diciamo – che hanno fatto la storia della musica italiana, il jazz, il rock più duro, così come le melodie più dolci quali – ad esempio – le ninne nanne che ho scoperto ultimamente avendo una bimba piccola. Mi piace tutto quel che mi emoziona, non c’è più un genere musicale, non penso più che dobbiamo scrivere una canzone di un determinato tipo, ora si scrive quel che viene liberamente e basta.
– Ed effettivamente ascoltando i vostri dischi si apprezza quell’amalgama d’influenze musicali che ne costituisce la base. Ultima domanda: sogni o progetti per il futuro?
Stiamo preparando il nuovo album quindi, al momento, quello è l’obiettivo principale. Finiremo questa caldissima estate – sorprendentemente ricca di concerti nonostante l’assenza di nostre recenti pubblicazioni – e verso la metà di settembre ci chiuderemo in sala per lavorare al disco.
– E noi attendiamo con ansia di poter ascoltare il nuovo materiale. Nel frattempo ti ringrazio per la disponibilità a nome mio e di tutta la redazione.
Grazie a voi!
Laura Di Francesco