È sempre una “Lunga Attesa” l’uscita di un nuovo album dei Marlene Kuntz, band che negli anni ci ha abituati al meglio sia nelle sonorità che nei testi, mai banali e sempre con l’occhio attento al presente. Tornano con un album come quelli di una volta, dove gli unici protagonisti sono loro, insieme a due chitarre, un basso e una batteria, senza i fronzoli a cui ci sta abituando il mercato discografico. L’ispirazione è nata dal tour per il ventennale di “Catartica”, il loro disco manifesto, che hanno riportato sui palchi nel 2014; tour grazie al quale hanno rispolverato suoni e sapori di quegli esordi raccontati di recente dal docufilm “Complimenti per la festa”. Quell’ispirazione, quei suoni, uniti alla modernità, all’attualità e a qualche nuova sperimentazione, hanno consegnato al pubblico un disco rappresentativo e di rottura con quello che attualmente offre il mercato.
In questa intervista al motore della band, Luca Bergia, si parla del disco, della scena indipendente/alternativa, del docufilm e dell’affetto che nutrono verso il loro pubblico romano, che stasera li vedrà protagonisti sul palco del Quirinetta.
– Lunga Attesa è un album che prende la vostra matrice e la fonde con ciò che accade oggi, musicalmente e non. Non è un tornare indietro fine a se stesso, insomma. Cosa vi ha portati a ritrovare certi suoni e un certo modo di dire le cose?
Devo dire che recentemente, nel 2014, abbiamo realizzato un tour celebrativo del nostro primo disco, abbiamo festeggiato i vent’anni di “Catartica” e quel tipo di approccio. All’inizio pensavamo “Caspita, un disco come ‘Catartica’ è un disco impegnativo da suonare”, nel senso che a livello di energia, di impatto, di potenza, prende un sacco di energie, soprattutto come impatto sonoro, per gli ascolti, per le orecchie. Temevamo di uscirne frastornati. Ci siamo però resi conto che, data dopo data, il nostro divertimento cresceva e abbiamo scoperto che ci faceva ancora piacere spingere sulle distorsioni, picchiare violentemente sulle pelli, sui tamburi. Non avevamo timore di frastornarci le orecchie e quindi quando abbiamo iniziato a lavorare sul nuovo disco, abbiamo detto partiamo da lì, partiamo spingendo sulle distorsioni, senza avere paura di utilizzare tutta l’energia possibile. Talvolta, però, quando invece i brani erano un po’ più intimi, abbiamo deciso di non seguire quella direzione lì.
Questo è stato l’approccio di questo nuovo disco! Poi le vicinanze con “Catartica” finiscono lì, perché comunque alla fine nel disco ci sono due chitarre, un basso e una batteria; se vuoi è un disco un po’ come non si fanno più, nel senso che ormai due chitarre basso e batteria sono rare, è raro ascoltare dischi senza altri ingredienti; però ha un suo sound che non è vicino a “Catartica”, non è vicino a “Ho ucciso paranoia”, non è vicino a “Il vile”, o ad altri dischi che hanno quel tipo di formazione strumentale. È un disco che ha la sua modernità, come sottolineavi tu giustamente, i testi sono testi anche molto contemporanei. C’è anche un modo di cantare di Cristiano, che non aveva ancora provato negli altri dischi, penso a brani come “Narrazione”. Insomma, è un disco che pur avendo una formula che non è nuova, ha una sua attualità e una sua modernità.
– Avete dichiarato di non aver mai puntato ad essere “cool” per attirare l’attenzione di un certo pubblico. Oggi però la scena alternativa è molto cambiata, in giro c’è molta voglia di essere cool e si è persa quell’impronta comunicativa che era comune agli anni del vostro esordio e che vi ha da sempre caratterizzati. Cosa sta succedendo alla musica indipendente/alternativa?
Mi fai una domanda per la quale ci vorrebbe un sociologo più che un musicista. Mi sembra che oggi ci sia un atteggiamento nelle nuove leve molto autoironico anche nel testo, nel senso che sembra quasi che non ci si prenda troppo sul serio, forse anche per prevenire certe critiche, certi atteggiamenti. Mentre magari negli anni ’90 c’erano band che facevano e dicevano le cose con una intensità e rigorosità di un certo tipo, le nuove leve sono più autoironiche, a volte quasi cabarettistiche. Utilizzo questo termine che è anche forzato se vuoi, per sottolineare il fatto che non ci si prenda troppo sul serio. È un segno dei tempi, perché siamo sempre più dentro un’epoca legata all’intrattenimento, allo show, quindi penso a X Factor, Amici, The Voice, ecc… Probabilmente funziona di più essere in quel senso disimpegnati, leggeri, autoironici. Poi appunto non sono un sociologo, ti ho dato una mia idea…
– Riuscite oggi a individuare una band che sta cercando di seguire i vostri passi?
Io spero che non ci sia nessuna band che voglia seguire i nostri passi, ma che invece segua i suoi passi. Che sia nuova, che sia originale, che sia personale! Noi abbiamo fatto un gioco che è stato molto bello: abbiamo postato, prima della sua uscita, il testo di una canzone del disco nuovo, proprio il testo che gli dà il titolo, “Lunga attesa”, ed abbiamo chiesto a coloro che ci seguono se avessero voglia di musicarlo. Sorprendentemente la risposta è stata molto oltre le aspettative; ci immaginavamo 40-50 versioni, dicendo appunto a chiunque avesse avuto voglia, di vederla come un gioco di creatività. Non era un vero e proprio contest, non c’erano grossi premi da vincere, non c’erano dirette televisive o cose così. Semplicemente un songwriter solitario, una band, registrandola col telefonino, con la telecamera o in uno studio di registrazione, si sarebbe potuto cimentare in questa sfida. Sorprendentemente sono arrivate 320 versioni, che vogliono dire 24 ore di musica, e abbiamo scoperto e conosciuto realtà pazzesche a livello creativo. In Italia c’è un sacco di creatività, c’è un sacco di gente che suona, che si sbatte, che ha idee, che ha voglia di fare! In questo gioco avevamo chiesto la collaborazione di alcuni amici giornalisti, che hanno selezionato tre di queste band e di questi artisti. Alla fine sono stati selezionati i Respiro, una band pugliese, gli Astral Week, che hanno base a Roma e gli Stanley Rubik, anche loro romani e che hanno aperto la nostra data milanese. Questo per dirti che di creatività in Italia ce n’è tanta, il problema è riuscire ad emergere in questo momento storico, ad essere visibili, a suonare in giro, a riuscire a vivere della propria musica, cosa che sta diventando sempre più difficile.
– Avete all’attivo più di 2000 concerti, che da poco sono stati celebrati nel docufilm Complimenti per la festa. Cosa avete provato a vedervi rappresentati dagli occhi dei registi?
Mah, devo dire che siamo abbastanza abituati a vederci rappresentati in filmati. YouTube è pieno di nostri live, di nostre interviste, di nostre cose. Premetto che l’idea del docufilm è stata dei registi, di Simone Cargnoni e di Sebastiano Luca Insinga, sono stati loro ad avere l’idea, non è partita da noi. È stato bello vedere come i registi abbiano ideato la narrazione di questo docufilm, che per altro è una cosa di quelle che non si vedono in Italia, nel senso che di documentari ne vedi, ma documentari sulla musica, fatti con questa cura, con questa attenzione del dettaglio, del particolare, della fotografia, del suono, è davvero una cosa abbastanza rara. La narrazione è stata ben congegnata, perché intanto il fuoco del docufilm è la nascita dei Marlene fino alla pubblicazione del nostro primo disco “Catartica” e poi ci sono le immagini che ci riprendono durante il tour di festeggiamenti dei vent’anni del disco, dove abbiamo suonato veramente dappertutto in Italia. Oltre a questo ci sono delle interviste di musicisti, c’è Gianni Maroccolo, Giovanni Lindo Ferretti, Federico Fiumani; c’è il nostro primo bassista che rilascia una bella intervista, perché fa capire quegli anni lì, come li stavamo vivendo, qual era il suo punto di vista, cosa stava succedendo intorno alla realtà della nostra piccola provincia cuneese. Poi ci sono anche testimonianze di giornalisti come Alberto Campo e Federico Guglielmi, più il materiale di repertorio formato spesso da inediti. È una carrellata che parte da quegli anni lì, per arrivare ai giorni nostri, con una sorta di concerto che non esiste, perché è la somma di più concerti ripresi in giro per l’Italia. Una cosa molto particolare! A noi ha emozionato e anche, giustamente, un po’ inorgoglito.
– Tra l’altro è stato presentato in anteprima al Quirinetta di Roma, locale in cui suonerete tra pochi giorni. C’è un rapporto speciale con questo luogo? Dobbiamo aspettarci qualche sorpresa per questa data romana?
Noi il Quirinetta non lo conosciamo, perché alla presentazione non c’eravamo, ma siamo molto felici perché, parlando più in generale, quando andiamo a suonare a Roma siamo sempre molto felici, visto che lì c’è un pubblico molto caloroso, tra i migliori che abbiamo in Italia. Roma ci ha adottati da subito e ha un gusto proprio che è legato alla cultura rock, molto radicato. È sempre una gioia tornarci e non vediamo l’ora di farlo.
Egle Taccia