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Mardi Gras: Playground

I Mardi Gras sono uno di quegli splendidi paradossi di cui il panorama musicale, oggi più che mai, aveva fortemente bisogno

Sto pensando al fatto che certi giochi multisensoriali per neonati si chiamino palestre. Forse perché è proprio giocando che ci si allena alla vita. Sfruttando la leggerezza ci si prepara alla futura maturità e alla “pesantezza”, positivamente parlando, che ne consegue. Giocare per apprendere. Fanno tesoro di questo bisenso sintattico i Mardi Gras, che decidono di chiamare il loro ultimo album “Playground”, ergo “parco giochi”: un titolo fedele al significato di cui sopra per un album che accorpa in maniera omogenea le giuste dosi di spensieratezza e profondità, le mixa sapientemente ed il risultato è vincente. Quattordici tracce da perderci la testa.

I Mardi Gras (Claudia Loddo alla voce, Andrea Casini al basso, Fabrizio Fontanelli alla chitarra acustica, Mauro Lopez alla batteria, Alessandro Matilli al piano e alle tastiere, Simone Sammarone alla chitarra elettrica) lasciano sottintendere la loro natura istrionica, ludica ed impegnata nello stesso tempo, a partire dalla scelta del proprio nome: esso rimanda al coloratissimo carnevale di New Orleans, ma anche ad un album dei Creedence Clearwater Revival, il che evidenzia una ricercatezza musicale non indifferente.

Insomma, sia della fanciullezza che dell’età adulta i Mardi Gras hanno carpito i lati migliori. In attivo dal 2006 (al netto di cambi di formazione, live internazionali, collaborazioni ed incisioni varie), la band sforna oggi quello che si può indubbiamente definire il più consapevole dei loro lavori: in Playground i sei musicisti mettono in pratica tutta l’esperienza assimilata e rielaborano in maniera innovativa ed originale le influenze stilistiche che hanno assorbito negli anni addietro: Playground è un disco folk, ma è anche rock, è melodico, è funk, è… difficile da inquadrare, sostanzialmente. Ed è proprio la variegatura il punto di forza di un album che non stanca nemmeno dopo ripetuti ascolti – le orecchie della sottoscritta lo hanno testato e possono garantirlo!

L’esplosiva I Say Yes dà il via alle danze. Esplode nel vero senso della parola, parte dolce e si carica man mano che i secondi scorrono, è “interattiva”: chi ascolta si emoziona nella medesima maniera, è un coinvolgimento intenso ed esponenziale. Se Never strizza l’occhio al dark rock, tra distorsioni e atmosfere cupe, di rimando The Road Song è luminosa e smagliante, un inno alla gioia (e gode di un featuring di tutto rispetto: nientepopodimeno che Mundy, vale a dire uno dei più apprezzati cantautori irlandesi moderni). Con I Have a Dream si balla – io l’ho fatto, in piedi sulla poltrona di casa mia, e vi giuro che è veramente liberatorio; se, come me, abitate al primo piano, magari prima assicuratevi di avere le tapparelle abbassate – come se non ci fosse un domani, il groove la fa da padrone. Con Painlover, invece, si rockeggia, godendo della voce intensa ed energica di Claudia.

Recuperiamo il fiato con Another Place, ballad ritmata di buon gusto, e Before I Die, una piano/voce minimalista, essenziale, l’intermezzo che ci voleva. Ecco, mi accorgo proprio ora che persino la scelta della scaletta è accurata e certosina: tutto l’album è frutto di un lavoro svolto con dedizione che, senza ombra di dubbio, paga. Eccome se paga. Sarah and the Three Roses suona cristallina, ha un paio di fraseggi che mi fanno impazzire!

Molto probabilmente la Sarah a cui i Mardi Gras fanno riferimento è una giovane donna: lo si percepisce dal sapore delle note, fresche come fresca sa essere la giovinezza. I BPM rallentano mentre la dolcissima Mine scorre nelle casse, per accelerare al ritmo dell’incisiva Are we Ready for the Sun? (non sarà molto professionale, ma posso scriverlo che è la mia preferita? Ok, l’ho appena fatto) e rallentare nuovamente in Snakes and Bones; la dinamica è solo uno dei requisiti che fanno di Playground un LP che, ribadisco, non annoia, oltre all’indiscussa bellezza musicale di ogni singolo brano che lo compone.

La romantica Alys è già nota agli estimatori della band: essa, infatti, è la colonna sonora di un omonimo cortometraggio, ed effettivamente è una delle più orecchiabili, ha proprio la stoffa del singolo. Superfriends è funky, scanzonata ed esuberante: proprio quello che ci voleva ad un passo dalla fine dell’album, che attraverso la sensualità di Kiss the Night chiude il cerchio. Un cerchio perfetto, geometrico, una roba che neanche Giotto.

Quelle che erano già delle certezze trovano un’ulteriore riconferma ad ascolto terminato: i Mardi Gras non lasciano proprio nulla al caso. Riescono magistralmente a costruire senza risultare “costruiti”, a risultare leggeri e gradevoli pur essendo essenzialmente impegnati, a restare lievi in tutto il loro spessore.

I Mardi Gras sono uno di quegli splendidi paradossi di cui il panorama musicale, oggi più che mai, aveva fortemente bisogno.

E le mie orecchie altrettanto: esse, sentitamente, ringraziano.

Valentina Benvenuti

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