Cosa sono LE INTERVISTE IMPOSSIBILI? Sono la possibilità di far rivivere “in parole” personaggi storici della musica, ponendo loro domande ed ascoltando le loro risposte. Un gioco, sì… ma anche un esercizio antropologico e sociologico che ha richiesto numerose ore di studio, tra filmati di repertorio e testi originali, per cercare di compenetrare la profondità degli artisti, comprendere come loro avrebbero effettivamente risposto alle domande di Qube Music. Con i loro tic, il loro linguaggio ed il loro modo di fare.
QUESTA VOLTA ABBIAMO INTERVISTATO RINO GAETANO:
Rino Gaetano, all’anagrafe Salvatore Antonio Gaetano, classe 1950. Calabrese di nascita ma romano d’adozione (i suoi genitori, originari di Crotone si trasferirono infatti a Roma nel 1960 quando, Rino, aveva solamente 6 anni ndr) e una vita – breve ma decisamente intensa – al completo servizio di una musica, la “sua”, capace di distinguersi ancor oggi per schiettezza ed ironia.
Personaggio anacronistico e fine cantautore, già nel 1976 – anno del suo secondo album “Mio fratello è figlio unico” che ne decretò il definitivo successo – godeva, musicalmente parlando, dell’esclusivo pregio di anticipare i tempi di almeno un trentennio. Tutto questo è stato (ed è) Rino Gaetano.
– Rino, ciao! Come te la passi? Ci manchi molto, sai?
Ah, mi mancate anche voi un sacco. Mi mancate perché, come ho più volte sostenuto, considero da sempre, l’Italia, come uno dei Paesi più divertenti del mondo! Eh sì perché vi osservo e vi vedo sempre tutti precisi, con quei completi importanti, le 24 ore… tutti presissimi e sempre di corsa… tutti indaffarati a fare questo e quello ma, soprattutto, tutti con quelle facce tristi da perenni insoddisfatti quanto poi, invece, nella realtà… vi divertite sempre un mondo (ride ndr).
– Ah, ok… abbiamo capito! È la solita ironia di casa Gaetano! Ma tu sei davvero sempre così allegro?!? Ovvero, questa era (ed è) la tua condizione naturale 24 ore su 24?
Oddio, certo… non è che la mattina appena sveglio avessi (ed ho) sempre voglia di fare tutta questa ironia. Anche perché poi sarebbe inutile, fra l’altro! Però ho sempre pensato di essere divertente, quello sì! E questa è sempre stata per me una consapevolezza molto bella, sapete?!?
Mia madre, per esempio, come mi vedeva la mattina scoppiava a ridere… chissà perché? (ride ancora ndr).
– Ok, ma divertimento a parte, come nasce il Rino cantautore?
Nessuna genesi particolare alla base del mio progetto artistico – perché oggi è così che si dice, no? (ride… e di gusto ndr) – vabbè dai, seriamente: io ero sostanzialmente uno che, rispetto ad altri, aveva più tempo per leggere i giornali e, sempre rispetto ad altri, aveva poi la voglia di raccontare ciò che leggeva puntualizzando, magari, le questioni ritenute importanti rispetto ad una mia personalissima scala di valori. Tutto qui!
– Un Rino Gaetano perennemente alla ricerca della sua “terza via”, quindi
Ecco, sì: bravi! Più che cantare l’impegno che tanto andava di moda ai miei tempi, io cercavo semmai di esprimermi raccontando e, perché no, anche denunciando alla mia maniera il “disimpegno” sui temi sociali. Quel disimpegno che poi ricercavo e ritrovavo nella gente del mio quartiere: negli emarginati, negli sfruttati, nei derisi, nei depressi. In quei fratelli che erano “figli unici”.
Vedete, ai miei tempi erano davvero pochi quelli che si occupavano delle cosiddette persone “normali”, sapete?!? (sorride ndr).
– E quindi, sulla base di questo, come prendeva corpo, dentro di te, l’idea di una canzone?
Una canzone nasce ovviamente da un’idea. Un’idea che può essere legata al testo così come alla semplice melodia. In pratica, non è che io scrivessi i miei testi solo dopo averne scritto la musica.
Succedeva questo: magari, nel traffico di Roma, pensavo ad una melodia e la canticchiavo fino all’esaurimento per evitare di scordarla dopodiché, una volta arrivato a casa, la registravo e ci cucivo sopra il testo.
Però poteva succedere anche il contrario e cioè che, sempre in macchina, osservavo ad esempio una scena che mi solleticava la fantasia e la voglia di raccontarla a modo mio e, quindi, canticchiavo un testo che poi mettevo in musica.
Roba così, insomma! Che poi, oh, ho citato la macchina come una sorta di ipotetico ventre in cui scaturivano le mie composizioni anche se, specie agli inizi della mia carriera, tutto questo succedeva semplicemente passeggiando per strada, visto e considerato che, l’auto, ancora non ce l’avevo (ride ndr).
– Parliamo di Sanremo e di quel terzo posto (dietro ai Matia Bazar e ad Anna Oxa ndr) che, magari, ti brucia ancora un pochino, considerato ciò che è successo dopo.
Ah, io l’ho sempre seguito Sanremo! Ci tengo a sottolinearlo, questo! Il Festival ha sempre “acceso” la mia passione!
Immaginiamo, si! Insomma, con “Gianna” hai dato il via a quel fortunato filone della canzone “nonsense” che, ancora oggi, ti caratterizza e ti distingue rispetto ai cantanti dell’epoca.
Beh, se vogliamo, questo è sempre stato solamente uno spicchio della torta… uno dei tanti. C’era la canzone d’amore… e c’erano i cosiddetti cantautori “politicizzati” (vedi Guccini, De Gregori ecc…). E poi c’ero io! Che, invece, non stavo da nessuna parte e che, fondamentalmente, non mi sono mai preso troppo sul serio. Ma, del resto, l’Italia è stata la patria dei Petrolini… dei Totò… di questa gente qui, insomma.
– Hai mai pensato, coi tuoi versi surreali, di poter però sconfinare nel “qualunquismo”?
Mah, guardate… la faccio breve: a mio avviso si finisce per cadere nel qualunquismo, quando, ad un determinato pezzo, viene attribuito l’effetto di un comizio politico. Cioè, una canzone per essere definita tale deve restare canzone e non diventare, appunto, una conferenza ed è proprio per questo che, la questione ritmica, non andrebbe mai accantonata!
Insomma, io non ho mai parlato di politica nelle mie “ballate” che, ricordiamolo, rimangono sempre la maniera più semplice ed efficace per dire alcune cose. Di certo, i miei commenti politici li ho fatti in quanto ometto chiamato ad esprimere le proprie preferenze nell’urna ma, di certo, non mi sono mai sentito di esprimermi politicamente attraverso i miei testi, anzi!
Quando cantavo cercavo, semmai, sempre di fare l’evasivo… ecco!
Chi mi ascoltava – e, spero, mi ascolti anche ora – non pensava ai problemi del Paese mentre lo faceva. Ecco, il mio obiettivo è sempre stato quello: divertire. Divertendomi, soprattutto!
– E infatti, per Rino, “il cielo è (ancora) sempre più blu”… giusto?
Esattamente! (ride ancora. E tantissimo, anche! ndr)
– Grazie Rino, il nostro incontro è stato breve ma intenso. Un po’ come la tua storia. Ti chiediamo solamente: ora cosa farai?
Beh, che domande… continuerò ad osservarvi assieme a Gianna, Aida, Berta e Maria… assieme a tutte le mie donne, insomma!
E se la ride Rino e, stavolta, lo facciamo anche noi assieme a lui…
Bruno Pecchioli