LIVE REPORT

Josè James al Monk: la voce suadente che ti conquista tra soul-jazz, R&B e un pizzico di politica

Mentre sulla sponda d’Oltreoceano si consumava l’ultimo atto della corsa alle presidenziali, a Roma, martedì sera, s’ingannava l’attesa del voto godendo di una delle migliori voci americane della scena black – definizione che sembra riduttiva per un talento come Josè James

Mentre sulla sponda d’Oltreoceano si consumava l’ultimo atto della corsa alle presidenziali, a Roma, martedì sera, s’ingannava l’attesa del voto godendo di una delle migliori voci americane della scena black – definizione che sembra riduttiva per un talento come José James.

Ospite del Monk Club per presentare il suo ultimo lavoro discografico in uscita a febbraio 2017,  il live dell’artista di Minneapolis va anche oltre i godibilissimi brani di “Love in a time of madness” e concede improvvisazione e citazioni, toccando e mischiando ad arte generi: dal jazz, suo territorio di origine, al soul/R&B, al funk, e ovviamente il rap fino alla canzone melodica statunitense, che sembra un po’ la marca del nuovo album, condita di tutta la sensualità che ispira la black music sulla quale si apre il live. Il tutto cucito e tenuto insieme dal suo stile: morbido, simpatico e piuttosto politico, perché la serata è pur sempre quella che precede un voto di cui non cela al pubblico l’importanza e la portata, tra battute e riferimenti alla situazione sociale e politica americana (e l’esito delle elezioni, non è difficile intuire, non sia quello che si era augurato) e del resto del mondo. Temi di cui non è esente il nuovo lavoro che parla di una “guerra in corso contro i poveri, la gente di colore, le donne, i migranti e i bambini innocenti”, che denuncia la “brutalità della polizia contro la comunità nera” e riflette sul “valore della vita umana e dell’amore”.

D’altronde la passione che muove José James la riconosci, prima ancora che dai testi, a sfondo sociale o sentimentale, dalla voce: calda, suadente e forte di quella tecnica che ti ricorda da quale “scuola” nasce questo talento, che si è ricavato il suo posto nella scena del modern jazz. E non stupisce che sul palco con lui ci sia un batterista della fama di Nate Smith, per il quale è accorso al Monk una buona fetta di pubblico al quale concede un lungo solo che si dipana sullo scibile delle ritmiche che lo strumento gli consente!

Ad ogni modo l’accoppiata è vincente e il duo che segue ne è la conferma: un dialogo serratissimo nel cuore del concerto, tra i piatti e i tamburi di Smith e le acrobazie vocali del freestyle di José James, su Park bench people degli antesignani Freestyle Fellowship e Police state dei Dead Prez, che raccontano di temi fondanti della filosofia di James e al tempo stesso svelano in pieno tutta la capacità tecnica oltre che creativa dei due. Sembrerebbe quindi riuscita la scelta coraggiosa di non tornare in Italia con il gruppo, come la scorsa primavera, ma in formazione batteria, voce, chitarra e ableton.

E se il live si è aperto sui ritmi dell’hip-hop più classico ed elegante, con delle belle basi elettroniche e la melodica tipica del genere, su cui corrono i nuovi brani, nella seconda parte dello show si balla con Trouble, da “No beginning no end”, album del 2013 (non a caso edito da Blue Note), e un paio di brani nuovi che ammiccano a mostri sacri come Stevie Wonder, Prince o persino Sly and the Family Stone, fino al più recente Jamiroquai.

Il finale è una carezza con la dolcissima Simply beautiful e Come to my door, dagli album precedenti, interpretati con la chitarra che era rimasta in ombra durante tutta a serata.

Circa 90 minuti di spettacolo filano via veloci; quel che resta è il sapore di un live coinvolgente, fatto di tante sfaccettature che fanno sfuggire quest’artista trentottenne ad una chiara classificazione. Che poi  smetti di cercare perché ti senti soddisfatto e ti accorgi che puoi fare tranquillamente a meno!

Sara Cascelli | Foto: Romano Nunziato