– Ciao Roberto! È appena uscito il secondo album dei Dogmate: puoi darci delle anticipazioni? Cosa possiamo aspettarci? In che modo è differente (o ne raccoglie l’eredità) dal CD di esordio?
Tanto per cominciare abbiamo un altro cantante rispetto al primo album, e questo già cambia il sound generale. Inoltre anche la composizione si sta sviluppando; ma l’impronta è sempre la stessa, quella di avere un suono massiccio e compatto come nel primo disco.
Nel tempo una band prova sempre a evolversi album dopo album, sviluppando un proprio stile.
Secondo me questo disco è più maturo sotto tutti gli aspetti, dalle linee vocali agli arrangiamenti e soprattutto ai suoni; anche la produzione, sempre a cura del nostro chitarrista Stefano, è senza dubbio migliore del primo.
Diciamo che dall’EP uscito qualche tempo fa si sentiva che stavamo prendendo una certa direzione, e su questo nuovo album si capisce dove intendiamo arrivare.
A mio parere con questo lavoro stiamo prendendo più coscienza come band, cioè suoniamo più uniti per un obiettivo comune: è come avere un unico macchinario di quattro parti divise che lavora in sincrono…
Ovviamente lo porteremo dal vivo e nei prossimi tempi annunceremo delle date, stiamo lavorando anche su quello.
– Sempre restando nella tua area compositiva, so che stai lavorando anche ad un progetto originale, particolare (un trio) che risponde al nome di Los Bastardos. Ce ne puoi parlare?
Con piacere! Il progetto nasce dall’incontro con Pierluigi Placidi, bravissimo chitarrista, a cui ho fatto ascoltare dei miei brani. Lui mi sembrava molto adatto e gli ho proposto di collaborare. Abbiamo cominciato a rivedere le cose insieme e sono usciti fuori tanti pezzi, aggiungendo anche alcuni suoi brani.
Abbiamo provato vari batteristi fin quando ho conosciuto Danilo Ombres, e con lui stessa storia.
È nostra intenzione registrare l’album ma purtroppo, in considerazione degli impegni di tutti noi, è una cosa lenta. Io personalmente ci tengo parecchio anche perché alcuni brani li ho composti molto tempo fa e non vedo l’ora di portarli a compimento su un album.
Parlando dello stile della band, scherzosamente lo descrivo come “i Primus che provano a fare fusion senza riuscirci e poi finiscono a fare un po di psichedelia” ahahah!
Questo per spiegare meglio le influenze di ciascuno di noi.
Ovviamente loro sono molto bravi a suonare, io spero di imparare nel frattempo…
– In ambito Live, ho visto che gli ultimi mesi ti hanno tenuto impegnato in 2 Continenti (America ed Europa). Ci vuoi raccontare com’è andata? (Qualche aneddoto particolare da svelare?)
Ho la fortuna di lavorare da anni con Fabio Frizzi, un compositore molto conosciuto, e con lui e i Frizzi 2 Fulci (la band tributo con le musiche dei film di Lucio Fulci, regista molto apprezzato) siamo stati impegnati in vari concerti sparsi tra Europa e Nord America. È andata molto bene, devo dire; e il secondo tour in America ancora meglio del primo.
Abbiamo avuto varie date sold out in posti molto belli, come ad esempio il Barbican e la Union Chapel a Londra, il Music Box Theater a Chicago…
Abbiamo avuto belle conferme e soprattutto belle sorprese, visto che alcune date si sono rivelate dei successoni.
Certo è stato faticoso, ma ne è valsa la pena: a Portland a momenti svenivo dalla stanchezza perché avevo dormito solo un’ora e in più avevamo anche preso l’aereo la mattina prestissimo…ed era già una settimana che dormivo poche ore per notte.
Per fortuna ho retto, anche se dopo sono stato in catalessi!
A parte la gioia di suonare bella musica in bei posti c’è anche da considerare l’aspetto “vacanziero” che ti porta a vivere insieme per giorni e giorni; e occasioni per divertirsi quando non si lavora ce ne sono.
L’unica cosa che manca è il tempo per dormire.
E per quanto riguarda gli aneddoti: beh, se avessi una buona memoria me li ricorderei ahahah! Ad esempio a Toronto c’era stato un problema con l’albergo e abbiamo detto al gestore (un vecchio hippie con barba e capelli lunghi e un sorriso non proprio da pubblicità di un dentifricio) che volevamo cambiare posto; dopo aver chiamato vari numeri di telefono ci risponde… lo stesso tizio che ci aveva accolto al primo albergo!
Aveva due telefoni e gestiva più alberghi… assurdo! Quindi ci siamo arresi…
A Los Angeles prima del concerto è passato a salutarci Christopher Young, un compositore molto famoso; non ci credevamo, si è presentato e abbiamo iniziato a parlare con lui come se fosse un vecchio amico; ci ha anche detto di risentirci la prossima volta che saremmo stati lì e ci siamo pure scambiati il numero di telefono ahah!
A Portland abbiamo avuto la fortuna di avere come fonico una donna che ha lavorato con Prince (e in effetti ci sembrava troppo brava e competente)!
Fondamentalmente, in tour, ci divertiamo parecchio; poi stando insieme escono fuori i particolari caratteriali di ognuno, e devo dire che insieme facciamo un bel gruppo…
La parte del buffone di corte è la mia, ad esempio… Meno male che il nostro manager, Daniele De Gemini, ci fa da tutore. La cosa fantastica dello stare in tour è che viaggi, visiti posti quando magari hai anche un po’ di tempo libero, conosci delle belle persone, c’è sempre una bella atmosfera e soprattutto suoni… viaggiare e suonare sono le cose che amo di più, quindi che fortuna! Spero ricapiti presto in futuro.
– Quella col maestro Frizzi è solo una delle tue numerose collaborazioni artistiche; vuoi menzionarne anche altre tra quelle che più hanno marcato il tuo percorso artistico?
Beh, posso dire che quasi da ogni collaborazione ho sempre assorbito qualcosa del loro essere artisti… Ovviamente ci sono stati quelli che mi hanno dato di più, e chi meno.
Da Fabio ho imparato molto del lavoro di un compositore nell’ambito delle colonne sonore, un mondo differente rispetto all’ambiente che di solito frequento. È interessante perché il modo di scrivere musica per immagini è diverso rispetto allo scrivere un brano rock: bisogna lavorare in simbiosi con quello che vedi e cercare di creare in musica quelle stesse atmosfere che le immagini evocano; anche un suono isolato, una nota, può fare la differenza. Anche se avevo già visto alcuni film di Fulci ne ho visti altri per capire come interpretare meglio la musica.
Con Ilenia Volpe invece mi sono avvicinato di più al senso della canzone, ovvero quello che c’è dietro tutte le note e gli arrangiamenti: se il brano regge bene con chitarra e voce, vuol dire che vale qualcosa e lo puoi lavorare come vuoi. Mi sono avvicinato di più anche ai testi, cosa che non sempre ho fatto nei gruppi con cui ho lavorato.
Inoltre, dal trio Blue Experience con Fulvio Feliciano e Pino Liberti ho imparato molto sull’interplay che ci deve essere tra i musicisti: suonando la musica di Jimi Hendrix si improvvisa molto, bisogna stare sempre all’erta e questo ti stimola. Senza contare poi che sono due musicisti molto forti, quindi qualcosa la apprendi per forza.
Pure da Michael Angelo Batio e Graham Oliver ho imparato qualcosa, anche se purtroppo è stato solo per pochi concerti!
– A proposito di percorso artistico: come nasce e come si sviluppa la tua passione per la musica? Diventare musicista è stato il concretizzarsi di un sogno o solo una fortunata combinazione di coincidenze dettate dal fato?
Ho iniziato a ascoltare musica sin da piccolissimo tramite mio fratello maggiore, mentre lui ascoltava i dischi io nell’altra stanza sentivo tutto. Poi mi sono creato un percorso mio che mi ha portato a voler suonare uno strumento, cosi ho comprato il mio primo basso a 15 anni e sin da subito ci ho dedicato molto tempo… (anche un po’ con la chitarra a dire la verità).
Poi ho scoperto l’esistenza dell’UM, una scuola di musica molto prestigiosa all’epoca e mi sono iscritto per provare; sapevo che se mi fossi impegnato molto, qualche risultato l’avrei raggiunto. Se non fosse successo nulla almeno ci avrei provato.
Certo non dico di essere un musicista affermato, assolutamente! Però qualche soddisfazione e il piacere di vivere con quello che mi piace di più è un obiettivo che ho raggiunto e ne sono felicissimo. Tanto non so fare altro ahahah!
Le coincidenze e le conoscenze ovviamente hanno aiutato, ma se ti impegni molto qualcosa succede sempre; poi sta a te gestire le occasioni e impegnarsi di continuo, la strada è ancora molto lunga… ma è sempre stimolante, sapere di non arrivare mai alla fine ti porta a evolverti di continuo.
– Se non fossi diventato il musicista di talento che sei ora, cosa avresti aspirato ad essere? E per arrivare ai tuoi livelli, è più importante un talento di base o l’impegno quotidiano (fatto spesso di sacrifici, e lavoro intenso)?
Ho tutt’ora la passione dell’archeologia: avevo pensato di studiarla all’università fino a quando ho scoperto le scuole di musica. Ho sempre letto molto e lo faccio anche adesso. Ho avuto la fortuna di capire cosa volevo fare nella vita prima della fine della scuola, quindi a 19 anni mi sono messo a studiare musica come un matto e a suonare con chiunque, anche se già da autodidatta di gruppi ne avevo. Ai miei livelli? Ahah spero gli altri riescano a fare di meglio, e non ci vuole molto! Come diceva Paco de Lucia, il lavoro e il sacrificio fanno tutto, ovvio che poi avere talento ti porta a stare sempre avanti agli altri ma a parità di impegno; bisogna comunque suonare ogni giorno, altrimenti se hai talento non lo sfrutti per niente.
Anche Jaco, che aveva un talento infinito, stava sempre col basso in mano, quindi si può dire che bisogna suonare e suonare. Avere tutt’e due le componenti non sarebbe male, male che va ti metti sotto a suonare e qualcosa risolvi lo stesso!
– Cosa stai ascoltando di recente? E come sono cambiati i tuoi gusti musicali nel corso degli anni?
A parte i miei ascolti soliti, in quest’ultimi tempi sto ascoltando Return to Forever, Mahavishnu Orchestra, Earth Wind & Fire, Jamiroquai, Porcupine Tree, Mike Oldfield… dipende da come mi gira l’umore.
Prima ascoltavo di più il rock e progressive, grunge (lo faccio tutt’ora e lo farò sempre), ma volevo rinfrescarmi le orecchie con qualcosa che non avevo mai ascoltato.
Quindi sono passato a ascoltare generi molto lontani rispetto ai miei soliti, come il calypso e il flamenco.
Ho così “scoperto” Paco de Lucia, uno tra quelli che mi ha toccato e ispirato di più fino ad avere il desiderio di creare un duo basso e chitarra con Riccardo Rocchi, chitarrista classico degli F2F che suona da far paura. Questo è un progetto nel cassetto!
Avevo anche cominciato a scrivere qualcosa…
Ma ascolto spesso anche Frank Zappa, per citare un altro grande della musica.
Insomma, posso stare in fissa per chiunque in base al momento, indipendentemente dal genere musicale, concetto che per me è sempre stato molto stretto: ognuno fa la sua musica, senza bisogno di etichette.
Etichettare potrebbe andare bene giusto per descrivere più o meno quello che un artista fa, ma la cosa migliore è ascoltarlo direttamente, piuttosto che dire “fa rock con influenze funk che si mischiano con chissà cosa”.
Di certo la mia indole è rock, ma non voglio ridurmi solo a quello perché la musica bella è tanta; posso imparare modi nuovi di vivere la musica da chiunque, soprattutto da quegli artisti che fanno cose diverse da quelle che ascolto solitamente.
– Progetti e sogni per un futuro a più lungo termine?
Non mi aspetto mai nulla, vivo la vita alla giornata… Ovviamente ho dei progetti che voglio portare avanti, come ad esempio il disco dei Los Bastardos; continuare a fare belle cose con i miei gruppi Dogmate, con Ilenia Volpe, con Fabio Frizzi (ho registrato da poco con lui la colonna sonora dello spettacolo teatrale di “Febbre da Cavallo”, ora al Sistina), iniziare nuove collaborazioni, conoscere nuovi musicisti e cercare di fare sempre cose diverse.
C’è ancora moltissimo da imparare dalla vita!
Spero solo di continuare così e soprattutto migliorare, di avere sempre occasione di suonare e viaggiare.
– Un saluto per i nostri lettori?
Grazie a tutti per aver avuto la curiosità e soprattutto la pazienza di assecondare le mie chiacchere! Spero di vedervi presto sotto il palco o in mezzo al pubblico durante i concerti!
– Grazie Roberto!
Marco De Stefano | Foto: su concessione dell’Artista