INTERVISTE Martina Dalla Mora NEWS

CARMEN CONSOLI: “Per poter scrivere devo sentirmi libera di dire banalmente ciò che penso”

Incontriamo Carmen Consoli nei camerini del Teatro Metropolitan di Catania. Una matita nera segna la geometria dei suoi occhi. “Che colore vuoi? Più chiaro, più scuro?”…

Incontriamo Carmen Consoli nei camerini del Teatro Metropolitan di Catania. Una matita nera segna la geometria dei suoi occhi. “Che colore vuoi? Più chiaro, più scuro?” Carmen risponde alla sua truccatrice senza esitazione: “Preferisco più chiaro.” A poche ore dal concerto nella sua raggiante Catania, siamo in un clima familiare con la speciale e sofisticata artista catanese che si esprime da donna che vive come tutti la quotidianità. Sarà anche rimasta per alcuni anni fuori dal circo mediatico, ma ha continuato a vivere, sognare, come ciascuno di noi, e soprattutto ha saputo ascoltare la voce delle persone e metterla in musica. Chissà quante cose ama nasconderci, pensiamo… E sul filo di questa domanda e del peso delle profonde parole dei suoi testi, discutiamo con lei pensando alla musica, al presente che, prima di tutto, è vita vissuta e richiede le giuste riflessioni, i giusti tempi di ascolto.

– Per accettare le stagioni della vita, continuamente mutevoli, bisogna conoscere la loro danza fuggevole ed effimera; spesso nei tuoi testi c’è un uso costante della parola “primavera” contrapposta a “deserti” oppure “albe suadenti”, la “pioggia d’estate”. Scrivi “abbracciami più forte che l’universo inventerà per noi stagioni insolite…”. Il tuo è un romanticismo a tratti leopardiano, ma forse anche buddista. Perché siamo sempre più ciechi di fronte alla semplicità della natura, evocata anche nella scenografia del tuo Tour Teatrale che stai portando in giro per l’Italia?

Perché siamo entrati in una dinamica di sintesi, la natura ha una sua complessità legata al tempo. Ci vuole tempo affinché sboccino le rose, perché possa arrivare la primavera sperata, intesa come la fioritura di tante cose. Oggi, sembra che il concetto di tempo sia legato al denaro, una mortificazione. Pensa alla sintesi dei messaggi scambiati sui Social Network come Twitter o Facebook, tutti i rapporti intessuti in questo mondo virtuale, le parole non si usano più per esteso. Bisogna comunicare tutto in fretta, concludere tutto subito, senza rispettare il divenire naturale delle cose. È come se una donna non volesse aspettare nove mesi, come se dovesse partorire in due mesi. Non riusciamo a gustare pienamente il cibo, le nostre risorse, per magari sostare in un fast-food. Andiamo troppo di fretta: ci stiamo ammalando di miseria, di sintesi. Di tutto ciò che abbiamo svuotato. Ecco, io penso questo.

– Dalla Sicilia spedivi un anno fa una cartolina di te, seduta al terrazzo, in abito scuro, forse vicina al tuo vulcano. Provo a descrivere la copertina del tuo ultimo lavoro e credo che la composizione in fotografia sia molto simile al ritmo in musica: vuoi comunicare, ma non giochi più sulla vivacità del contrasto tra opposti tipici di una donna mediamente isterica.

Si nota invece la semplicità del bianco e nero: quanto rimane di quel “volto pallido e trucco marcato” e di quel desiderio di comunicare a volte osando?

Mi sento più essere umano che pesce. Io credo di aver scelto la dimensione terrestre, stare con i piedi per terra. Sono tornata con gioia, avendo trovato la mia dimensione naturale. Io voglio crescere mio figlio in questa terra, in Sicilia, perché ritengo sia il posto migliore dove crescerlo, spero di avere ragione anche in questo, ma qui può acquisire una ‘signorilità d’animo’, una generosità nei confronti del prossimo, voler aiutare, come un supereroe degli anni ’50 che difende il più debole e non il bullo della situazione. Io credo che crescendo si cambia. Sono una che perlustra, amo vedere mondi diversi, studio molto e adesso sono in grado di scrivere parti per archi, scrivo per orchestre, ho cercato in tutta la mia carriera di combinare le due cose, a volte mischiando perché mi piace cambiare le vesti di alcuni pezzi rock scritti qualche tempo fa, creare arrangiamenti più classici. Il sostantivo rock, non il verbo, penso indichi -a parte la roccia- un vestito. Io non credo che un muro di chitarre elettriche o un muro di suoni distorti possa bastare per definire il rock, per lo stesso motivo oggi possiamo definire rock Laura Pausini o Emma. Invece dobbiamo capire cosa effettivamente pensiamo noi del rock: è ciò che destabilizza oppure ciò che crea un impatto violento da poco e assordante, e poi cantiamo ‘abbracciami amore mio’. Il rock è nei contenuti per me. Credo di aver cantato le cose più taglienti nel periodo in cui ero diventata più acustica. Ho trattato tematiche rock come l’omosessualità, la storia dei migranti, la crisi, la storia di Eva contro Eva, ho trattato diciamo tematiche forti. In Besame Giuda c’è la rabbia, il disco più rock nei suoni per descrivere le ventenni, le storie d’amore non corrisposte, ma il rock non è solo questo, non è solo amore, ma anche denuncia con le parole e la musica di De Gregori, Vinicio Capossela e altri.

Noi italiani pensiamo che il rock sia quello più urlato, noi abbiamo questo concetto culturalmente. Dalle mie esperienze fatte in giro ho sentito dire che c’è gente che sostiene che la “tarantella” sia la cosa più rock prodotta in Italia, perché forse è autentica ed esprime un disagio. Il rap, oggi, è ciò che negli anni ’90 consideravamo rock, parlare cioè rap significa questo: i giovani che seguono questo genere, si “sballano”. Forse legano il concetto di rock alle chitarre elettriche, boh non saprei… Lo scopriremo solo vivendo. [ride]

– ‘Chissà quale fine sarcasmo d’autore avresti sfoderato in questa triste occasione’ è parte del testo di ‘Mandaci una Cartolina’, canzone scritta pensando, forse, alla persona più importante della tua vita, cioè tuo padre. Quali difficoltà deve superare un cantautore, durante la scrittura di testi così intimi, che diventano poi fotografia di una tua quotidianità e per chi ti ascolta un motivo di riflessione?

Io scrivo nella maniera più banale possibile, non è che faccio un lavoro di sovrapproduzione nelle mie cose, scrivo ciò che mi viene in mente. La cosa difficile oggi è scrivere senza ascoltare le necessità delle radio che poi cambiano le loro esigenze di anno in anno; questo meccanismo non riesco a capirlo, o le esigenze delle case discografiche. La musica è anche specchio, per poter scrivere devo sentirmi libera di dire banalmente ciò che penso, amo la lingua italiana e cesellare le parole con lo strumento giusto, legare quella parola al suono, ma per scrivere devo vivere, posso anche inventare i personaggi, ma custodisco sempre una ‘memoria emotiva’ di ciò che vedo e scrivo, osservando. Altri magari non ‘vivono’, aspettano l’ispirazione, pur facendo delle cose meravigliose. Io, invece, preferisco rimanere più terrena per raccontare.

– ‘Sentivo che vedendoti avrei capito le cose chiaramente e non volevo. Volevo illuderti, e questo perché mannaggia quanto è difficile vedere chiaro quando fai qualcosa che in se stessa ti riempie di gioia, ti droga.’ Una citazione di Goliarda Sapienza, una donna anticonformista che si batteva per l’emancipazione femminile, un tuo punto di riferimento insieme a Pirandello e Verga. Quanto ritieni importante la sua opera, in che modo ti senti legata a questa donna catanese e perché, secondo te, fu per molto tempo ignorata da editori italiani?

Goliarda Sapienza è una scrittrice che ho conosciuto molto tardi, ho musicato anche un suo pezzo ‘Ognuno avi un segreto’ con le Malmaritate. Credo che noi Italiani, spesso, non riusciamo a comprendere il valore di certe nostre risorse. Sono più veloci dall’estero e infatti capita che certi talenti riscuotano più successo fuori dal nostro territorio.

Devo essere sincera, non sono stata mai un amante di Manzoni, lo studiavo con fatica, forse per questo consiglierei letture come quella di ‘Mastro Gesualdo’ o ‘I Malavoglia’ invece de ‘I Promessi Sposi’ [sorride].

– Le donne che osservano, amano, mai distratte, sensuali, con ‘quel nodo in gola, quel pianto strozzato da rabbia e amarezza’ di Maria Catena, L’universo femminile di Carmen Consoli apparentemente eterogeneo è un frame-rate di donne sull’orlo dell’Isola; che sognano di partire e se lo fanno non vedono l’ora di tornare nella raggiante Catania. L’orlo, come disse la scrittrice siciliana Elvira Seminara, ‘non è solo il confine, ma lo spazio che racchiude la memoria, è la sponda da cui partire, è il limite dell’orizzonte’, quella necessità di radici che tu stessa hai definito il nostro piede a terra.

Se dovessi descrivere le tue donne in musica, le definiresti più positive o più segnate da disforia amorosa, tipica forse delle isolane?

Elvira Seminara usa spesso la parola disforia; i miei sono personaggi positivi animati dal grande motore dell’amore per le cose, ovviamente reagiscono agli eventi in modo diverso, c’è chi ha il demone della rabbia, c’è chi annebbiata e cerca di trarre profitto da un matrimonio con una persona ricca e poi diventa Geisha, c’è chi ricorre alla chirurgia estetica e diventa Contessa Miseria. Il mio universo femminile è molto eterogeneo, le donne madri, le donne aguzzine, non sempre il mio universo femminile ne esce benissimo.

I ragazzi come te forse vogliono scappare da questa terra, perché non sempre compresi, ma io non voglio scappare dalla mia terra, se ho qualcosa di bello da mostrare devo lottare per cambiarla questa terra. Per farla somigliare al mio ideale ce la metterò tutta, creerò ciò che so fare; ho una piccola etichetta, uno studio di registrazione e, nel mio piccolo, porto tanta gente qui a Catania… Vengono artisti in Sicilia a registrare. Quindi se ognuno di noi rimanesse qui, creando, probabilmente questa terra ringrazierebbe.

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– ‘E chissà se il tuo canto sia estro, ingegno o semplicemente poesia’… Spesso il tuo racconto diventa una chiara denuncia sociale al sistema, le offese gratuite e le agonie sofferte di Palermo, ciò che definisci un immenso deserto, ma con nomi importanti, di rispetto. Idealmente, oggi, chi può continuare la lotta alla mafia? Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono rose di un deserto destinate all’oblio o, peggio, icone usate dalla politica?

C’è stato un momento, in cui è avvenuto un revisionismo storico per il quale Falcone e Borsellino cominciavano a diventare giudici ‘cattivi’. Purtroppo, attraverso i media, si può manovrare, influenzare e incanalare un certo tipo di pensiero tra il popolo e tutto ciò è un pericolo immenso. La realtà è che la Sicilia ha partorito i più grandi eroi antimafia. E’ [la mafia ndr] una piaga di cui noi siciliani non ci siamo affatto lavati le mani. Abbiamo continuato a lottare ed abbiamo denunciato; quanto meno della Sicilia si sa che c’è stata la mafia, penso a quanto sta accadendo invece al Nord Italia, noi questi panni sporchi ce lì siamo lavati. Ora spero che anche in altri luoghi possano fare lo stesso, anche se osservo un atteggiamento che ultimamente tende più a negare, a stare in silenzio. Abbiamo combattuto un cancro tremendo e, se ancora non siamo morti senza chemioterapia, vuol dire che stiamo avendo la meglio. Perché qualunque città -come dice il nostro sindaco, ci sono città che vivono, nascono, crescono, città che si ammalano e ci sono città che muoiono-, insomma qualsiasi luogo sarebbe morto dopo tutto quello che abbiamo dovuto superare ed affrontare. Eppure adesso, con la volontà dei giovani, stiamo ricostruendo questa terra. I nostri territori non sono stati inquinati dalle scorie chimiche per cui nelle nostre terre siamo in grado di coltivare, siamo produttori e forniamo per il 70% i prodotti tipici da agricoltura biologica, e passi da gigante li abbiamo fatti anche nel settore delle energie rinnovabili. Mi arrivano anche in campo musicale dei provini di ragazzi di tutta Europa, il loro sogno è incidere a Catania. Noi non siamo morti e si sta avverando ciò che diceva Peppino Impastato: aumentando la bellezza – con maggiore consapevolezza e soprattutto con più cultura – resistiamo, riprendendoci i nostri tempi per capire le cose perché la bellezza ama nascondersi. A te per capire il significato profondo delle cose serve tempo, non puoi pensare di capirlo come se fosse un tweet, non puoi amare una persona con la stessa velocità di un tweet, devi viverla per poterla amare.

Ci sono tempi fisiologici, la conoscenza sta facendo andare avanti le cose ed io penso che il seme buono sia stato piantato, sta germogliando e nel germoglio ci sono le proteine, ciò che serve per nutrirci.

La mia canzone su Palermo non è, come ha detto qualcuno, senza speranza, ma è una canzone che tende a dire ‘non possiamo aspettare che questo Dio ci risolva il problema, dobbiamo rimboccarci le maniche’. Io non credo in Dio, per cui è chiara la mia osservazione: fino a quando aspettiamo che qualcuno ci risolva il problema..non aspettare, ma mettere in pratica! Mi sto illudendo, forse, eppure io nella mia terra vedo delle persone intelligenti, faccio delle belle interviste con ragazzi cresciuti qui, la comunicazione è anche chimica.

– ‘Ero a Parigi, ho trascorso la serata e la notte rintanata ad ascoltare rumori sinistri salire dalla strada: spari, urla, sirene. Ho atteso e riflettuto, ma non posso cantare: il canto mi si ferma in gola.’ Con queste parole hai comunicato la sospensione del Tour Europeo in seguito al tragico evento terroristico. Era previsto anche un concerto a Bruxelles, al VK, un Bataclan meno blasonato che però si è guadagnato in 26 anni la fama di calamita per i suoni alternativi e di motore per l’integrazione. Alcuni tra i tuoi fan sono rimasti delusi, perché forse dalla Cantantessa si aspettavano una reazione più coraggiosa.

Cosa diresti ora dopo alcuni mesi? Il terrorismo può spegnare la musica?

I punti sono due. Il primo è basato sul mio concetto di suonare; suonare è celebrare, festeggiare, e l’attività di esibirmi in concerto è una festa. Io penso che fosse fuori luogo festeggiare a Parigi dieci giorni dopo il disastro accaduto, mi sembrava una cosa di pessimo gusto.

Io andavo a Parigi a cantare ‘A finestra’, francamente non me la sentivo di fare ‘papapa’ [canta], non mi andava. Torno a Parigi con coraggio, a scrivere, torno a Parigi a fare la turista.

Io amo Parigi, c’è una civiltà che vorrei dettasse alcune regole alla nostra Italia. Ci ho vissuto per 5 anni, ho una casa lì, ci sono anche tornata senza fare pubblicità. Ci sono andata da cittadino anonimo, senza festeggiare, nella mia casa, svolgendo il mio lavoro come se nulla fosse e ho scritto. Noi tutti, noi occidentali, per molta ingordigia abbiamo delle responsabilità che nel buddismo si dicono ‘azione e reazione’. Forse la mia testa sarà troppo di sinistra e vogliono farci credere che è un problema di religione, ma i più grandi demoni di questi terroristi sono le moschee, che anche in Italia rappresentano una sorta di modernizzazione dell’Islam, il più grande errore sarebbe appunto chiuderle.

– In ‘Ottobre’ c’è un amore che supera ogni pregiudizio, ma si nasconde. I ‘moti altalenanti del cuore’ sono segno di libertà, donne che si scambiano baci e carezze sotto l’albero di limone; con disinvoltura rientravano in scena (con le gote rosse); oggi la musica, più del passato, non teme il pericolo di quel ‘pettegolezzo imburrato, infornato e mangiato quale prelibatezza e meschina delizia per palati volgari’, e vari artisti chiedono il riconoscimento dei diritti civili per le coppie LGBT, o semplicemente una legge che non discrimini, laica e democratica. Eppure tanti nel mondo politico si sono opposti anche con parole forti.

Tu cosa ne pensi? Hai firmato anche tu una petizione con alcuni colleghi del mondo dello spettacolo.

La canzone parla di una storia omosessuale di tanti anni fa, ambientata negli anni cinquanta, oggi invece abbiamo superato certi pregiudizi [sorride]. Io non capisco proprio questa necessità o urgenza di giudizio. Quando due persone si amano non c’è nulla da chiarire o, peggio, discriminare. Mio caro, il razzismo è una brutta bestia, la più grande malattia, e penso sempre alle parole di Impastato. E’ ignoranza, quando si scende negli inferi del giudizio. Lo stesso razzismo che vedevamo in America quando si discuteva se era giusto far sposare i neri [con i bianchi ndr]. Io ricordo persone più eterosessuali del mondo, ad esempio mio padre, che mi ha educata senza fare classificazioni, la mia famiglia è stata sempre aperta, coppie gay, nostri amici gay, a mio padre non interessava.

Ognuno deve sentirsi libero di poter amare chi vuole. Chi si schiera contro tutto questo, con impegno, forse deve farsi un esame di coscienza e capire cosa sta cercando di reprimere, dentro se stesso.

Intervista: Matteo Dragà | Supervisione: Martina Dalla Mora
Foto di Copertina: Martina Dalla Mora | Foto Interna: Santo Nicolosi