Il primo disco non si scorda mai e il produttore canadese Noel Jon ha deciso, per coerenza, di chiamare la sua opera prima “LP1”. La rete di sonorità e generi che ruota intorno a questo album è impressionante, una vera impalcatura fine e sofisticata.
Si parte con richiami alla World Music e alla musica iraniana, si prosegue con un rap dal profumo internazionale e si prosegue con tanto synth-pop.
La costruzione è sempre minimal, precisa, ben pensata e i pezzi non sono mai buttati a caso.
Nella sua composizione il disco è affollato e pieno di umanità come un Matatu, taxi comunitari che affollano le strade del Kenya. Questo lavoro, nonostante si sviluppi su frequenze e beat tendenti ad escludere i suoni complessi, è come quelle enormi sale da ballo in cui si fanno feste di quartiere. Tutto è contemporaneamente pubblico e privato e HundredMillionThousand sono i segreti che si vengono a svelare. Il sound è una matriosca elettronica piena di risvolti, sorprese.
Alcuni giorni fa sono uscite alcune foto inedite di Ginsberg, prese da scorci di gioventù.
C’è una foto scattata a Calcutta che assomiglia incredibilmente a questo album.
È necessario tornare in India nel 1962 per capire l’essenzialità di certi suoni di un lavoro che è talmente aperto, internazionale che è perfettamente adatto ad un ascolto casalingo, in solitaria.
A ben pensarci Ngugi wa Thiong’o, uno dei più audaci scrittori africani contemporanei, ha ambientato un romanzo dal titolo “Devil on the Cross” in un Matatu. Nella storia, come la natura stessa del veicolo impone, ci sono varie vicende che ruotano intorno a questo mezzo di trasporto, che si tramutano in sogni e incubi. La stessa cosa avviene nel disco che con finezza sa raccontare anche frustrazioni profonde e contemporanee.
Tutto si contrae in un equilibrio oriente-occidente, nel libro come nell’album, dove i richiami alle due tradizioni sonore si accartocciano e trasformano in un sound curato e particolare.
Il disco complessivamente si apre bene e si chiude con un trittico di pezzi, cantati dal rapper Cabral, che sono delle vere perle che si collocano in una barriera immaginaria, in uno spazio ideale dove i suoni del disco sono confinati per crescere al meglio.
La forza è nell’accurata scelta di ritmi, beat e pattern che è sempre adatta per ogni pezzo. Il giardino zoologico in cui LP1 è cresciuto dovrà cambiare panorama per permettere una nuova ricerca in vista di un nuovo e futuro lavoro.
Gianluigi Marsibilio