Il festival del Postepay Rock In Roma è giunto ieri alla serata conclusiva con un concerto unico nel suo genere. Sul palco dell’Ippodromo delle Capannelle si sono infatti avvicendati i Simple Plan ed i Linkin Park.
Unica data italiana prevista nel tour mondiale – che porta il nome dell’ultimo disco della band di Chester Bennington – l’attesissimo evento ha richiamato nella capitale migliaia di fans da tutta Italia e non solo, facendo così registrare una massiccia presenza di pubblico. Ragion per cui il gruppo statunitense non si è di certo risparmiato, proponendo una ricchissima scaletta, dove non un album – da “Hybrid Theory” del 2000 a “The Hunting Party” (2014) – è stato tralasciato.
Ad aprire le danze sono stati però i Simple Plan, gruppo pop punk canadese formatosi a Montréal nel 1999. Considerati tra gli esponenti di spicco di questo particolare genere, nato negli Stati Uniti dalla commistione di melodie prettamente pop ed il particolare utilizzo che della chitarra fa il punk, la band non si esibiva nel nostro Paese da ben tre anni. Si è trattato dunque di un ritorno attesissimo, testimoniato dalla calorosa accoglienza che il pubblico ha loro riservato. E la formazione ha risposto con altrettanto ardore, infiammando gli animi sin dal primo brano “Shut Up!”, scelto dal secondo album “Still Not Getting Any…” del 2004, che valse loro numerosi dischi di platino. Nonostante alcuni problemi acustici – probabilmente derivati dall’enorme affluenza di spettatori – la performance dei Simple Plan è stata qualitativamente di altissimo livello: energici sul palco, oltre a farci apprezzare i pezzi che li hanno resi famosi , da “Jet Lag” a “I’d Do Anything” passando per “Welcome To My Life” , hanno presentato il nuovo singolo “Boom”, il cui video ufficiale è fresco di pubblicazione su YouTube e che farà parte del’ultimo lavoro di studio che ci auguriamo di poter ascoltare al più presto.
Poco dopo le dieci le luci si sono nuovamente spente, segnando l’ingresso dei Linkin Park che, senza troppi preamboli, ci hanno immediatamente bombardato con la potenza di “Papercut”. La folla era in delirio, nessuno poteva far a meno di cantare seguendo Bennington e Shinoda. “Given Up”, “Rebellion” e poi “Points Of Authority”. Il live show si rivelato grandioso già a partire da questi primi brani. L’inconfondibile scream di Chester, cioè il cantato fortemente raschiato ed alto che da sempre lo contraddistingue, era più che mai potente ieri sera ed è stato possibile apprezzarlo appieno in canzoni come “From The Inside”, estratta dal loro secondo disco “Meteora” che li consacrò definitivamente al successo nel 2003 e la cui presenza è tuttora preponderante nei concerti (e quello di ieri non fa eccezione). Una scelta saggia del resto, dato che per quanto il pubblico di Capannelle, eterogeneo più che mai, abbia dimostrato di apprezzare pezzi meno datati come “Wastelands” o “Castle Of Glass”, eseguita durante il live con un arrangiamento che la rendeva però più adatta ad una discoteca che al pit, si dimostrava irrefrenabile e totalmente galvanizzato solo da quelli appartenenti ai primi tre album, che dei Linkin Park hanno fatto la storia.
Dopo la strumentale “Robot Boy” ed una versione più lenta di “New Divide”, la band ci ha emozionato suonando “Breaking The Habit”. Una performance veramente straordinaria da parte dei sei musicisti californiani. E lo stesso può dirsi per “Burn It Down” e “Final Masquerade”, al termine della quale Chester Bennington ha momentaneamente lasciato il palco lasciandolo a Mike Shinoda che, sfruttando il momento per autopromuoversi, ha eseguito “Remember The Name” e “Welcome” dei Fort Minor, side-project rap da lui stesso fondato nell’ormai lontano 2004. Al rientro del cantante si sono immediatamente diffuse le inconfondibili note di “Numb”, o “Numb/Encore” perché ieri sera i Linkin hanno giocato sulla dualità del pezzo, inserendo solo alcune parti del pezzo nato dalla collaborazione con Jay-Z. “In The End” e “Faint” hanno infine chiuso la prima parte di questo show che non ha mai toccato l’apice, continuando costantemente a salire di livello.
Nell’encore il gruppo ha eccezionalmente proposto quattro brani, anziché i canonici tre, al fine di accontentare l’accorata richiesta di un ragazzo in prima fila di “A Place For My Head”. La bella “What I’ve Done” – inserita nella colonna sonora del film “Transformers” – e “Bleed It Out”, entrambe estratte da “Minutes To Midnight”, terzo lavoro di studio dei Linkin Park del 2007, pongono infine il sigillo a quello che può tranquillamente essere definito come il miglior concerto svoltosi a Roma nel corso dell’estate 2015 e – contemporaneamente – alla settima stagione del festival Postepay Rock In Roma.
Laura Di Francesco – Foto: Danilo D’Auria
Setlist:
• Papercut
• Given Up
• Rebellion
• Points Of Authority
• One Step Closer
• A Line In The Sand
• From The Inside
• Runaway
• Wastelands
• Castle Of Glass
• Leave Out All The Rest / Shadow Of The Day / Iridescent
• Robot Boy (instrumental)
• New Divide
• Breaking The Habit
• Darker Than Blood (Steve Aoki cover)
• Burn It Down
• Final Masquerade
• Remember The Name (Fort Minor cover)
• Welcome (Fort Minor cover)
• Numb (Numb/Encore)
• In The End
• Faint
Encore:
• A Place For My Head
• Waiting For The End
• What I’ve Done
• Bleed It Out