INTERVISTE

“FARE FESTIVAL? Un meraviglioso modo di complicarsi la vita.” Intervista a Pietro Fuccio

Il Siren è alle porte e ogni anno ci si ritrova prima del festival abruzzese a tirare le somme di tutti i lacrimoni che ho buttato l’anno precedente seguendolo giorno dopo giorno. Quest’anno ho deciso di fare i conti direttamente con chi organizza questa perla in quella meravigliosa cittadina (qui è subentrato l’amore per la patria abruzzese) che è Vasto.

Pietro Fuccio e la sua DNA concerti da anni ormai stanno creando un’alternativa al festival all’italiana e hanno portato Vasto a diventare un’esperienza musicale e sentimentale.

 – Cosa rappresenta oggi il Siren Festival rispetto al passato?

Oggi, come prima cosa siamo estremamente felici dei risultati che stiamo raggiungendo, perché Il Siren ci sta ripagando di tutto quello su cui avevamo scommesso. All’inizio di tutto veramente non sapevamo cosa potesse succedere. Ora sta a noi innovare ogni edizione, il lavoro intorno al festival cresce e diventa edizione dopo edizione più impegnativo, ma siamo felici di come stanno andando le cose: gli obiettivi che ci eravamo inizialmente posti cominciano a essere mano a mano raggiunti.

Quali sono le novità principali quest’anno?

Come avevamo già promesso negli scorsi anni, vogliamo concentrarci sempre di più sulla spiaggia. L’idea è quella di portare in spiaggia un set vero e proprio. Avere un festival in riva al mare è un sogno meraviglioso. Chiudere il cerchio tra Vasto centro e la marina è fondamentale per noi, Vasto è bellissima perché è ambivalente, offre città e mare. In una città come Vasto puoi farti un tour italiano a 360°, trovi il meglio della cittadina e anche il mare. Con Vasto non devi tirare alcuna monetina per scegliere se andare al mare o in città.

Il mare per noi è un’opportunità incredibile, come anche il cortile, la chiesa e le location tutte che abbiamo scelto accuratamente.

Quest’anno però c’è sempre più mare e speriamo di poter continuare così nel corso delle future edizioni.

Come avete sviluppato la line up 2018?

Per me l’importante è portare la comunicazione del festival intorno ad un concetto: venite al Siren, perché è il Siren, non veniteci solo per vedere un artista piuttosto che un altro.

Abbiamo seguito degli schemi diversi di comunicazione per mostrare come la line up allo stesso tempo sia omogenea e con dei punti di rottura. L’idea è di cercare di fare un festival pieno di contaminazioni. Tante volte l’italiano non va ai festival perché ci sono troppi elementi di rottura. Noi vogliamo fare uno zig zag ben pensato tra decenni, nazionalità e generi. Lo scorso anno abbiamo proposto Ghali per capire fino a che punto la gente era disposta a seguirci, anche la scelta di John Hopkins e i Verdena insieme (tre anni fa) era rischiosa, ma abbiamo mischiato persone di diversa sensibilità artistica che hanno apprezzato l’esperimento.

Con quanto anticipo iniziate a lavorare su una line-up così ricca e variegata?

Torniamo da Vasto e il lunedì vogliamo sempre rimetterci al lavoro, poi in realtà passano delle settimane fisiologiche di pausa. 12 mesi non bastano per far bene, ogni mese che passa è un rischio, servirebbero tanti, molti mesi in più di lavoro per stare tranquilli.

– Da quando sono nati festival come il Siren è più facile portare certi artisti in Italia?

Artisti di un certo tipo girano solo nei festival, per una questione economica e anche personale. Gli artisti per ripagare l’investimento oggi devono vendere molti biglietti, le cifre per farli arrivare da noi sono spesso molto alte e quindi è difficile vederli slegati dai Festival.

La St. Vincent di turno è un miracolo quando viene a fare il mercoledì una data al Magnolia.

Il festival è una soluzione che permette di non avere rischi di immagine né problemi di produzione, ed è un vantaggio economico assoluto.

I festival per noi che li organizziamo sono uno straordinario modo di complicarsi la vita.

Avete scommesso su un territorio come quello abruzzese. Come lo state vedendo cambiare nel corso degli anni?

Il Siren ha cambiato abbastanza le persone. Molti hanno mutato approccio e oggi parlano bene di noi, nonostante non ne volevano sapere all’inizio. È interessante vedere come un posto che nemmeno conoscevi riesce a cambiare e muoversi intorno a delle idee di persone che non erano del posto. Tutto infatti è partito da un americano ed è stato, all’inizio, come se fossimo caduti tutti al centro di Vasto. È bello vedere bar che si rinnovano, nuove attività che aprono e che nella città ci sono anche altri 15 eventi musicali.

Vasto è diventata un po’ come Austin e noi ci sentiamo orgogliosi e anche in parte fautori di questo rinnovamento.

C’è un problema di genere nelle lineup dei festival internazionali?

Bisogna andare al cuore del problema: quante donne oggi fanno musica rispetto agli uomini?

Io vorrei anche bilanciare e mettere le quote rosa in un festival, ma penso sia una cosa estremamente offensiva per le donne lavorare in questo modo. Vorrei piuttosto capire se a meno donne interessa fare musica o è un problema di ostacoli che le donne trovano nell’ambiente. Abbiamo fatto carte false per avere alcune artiste, ma purtroppo non ci siamo riusciti, quando trattiamo un artista non penso se sia donna o meno.

Il festival da anni è sbilanciato, però credo il problema sia a monte e non dipenda dai festival e dai loro organizzatori.

– Il tuo è lavoro veramente bellissimo ma com’è cambiata la tua figura professionale rispetto al passato?

È sempre più difficile fare questo lavoro. Un giorno per un problema burocratico, una volta per uno economico. Sarà per il rispettabilissimo decreto Gabrielli, che ha messo in discussione in parte la valuta del promoter con la questione sicurezza, o per i cachet, sempre più inarrivabili degli artisti. Ho l’impressione che sia tutto più complicato. La parte buona è che non ci si riesce mai a sedere, dobbiamo sempre stare sulle spine e questo fa bene, anche se è estremamente complesso.

In un’intervista a Zero hai dichiarato “L’esperienza del Siren non può essere infinita”. Oggi, allora, in quale fase siete?

Se oggi il Siren fa le scelte giuste, ed è in condizioni per farle, può veramente diventare qualcosa di ancora più grande. Non so se l’esperienza del Siren può essere infinita o meno, ma sicuramente anche se finirà, l’importante è lasciare un segno indelebile. Spesso ci ricordano ad esempio Frequenze Disturbate a Urbino, nonostante avesse molti problemi organizzativi. Siren ha dei margini di crescita enormi e in base alle scelte che farà ci dirà cosa farà da grande.

La differenza con l’estero è nell’approccio o è semplicemente economica?

All’estero quello che facciamo noi è un modo rispettabile di creare lavoro e cultura. Se vai a Parigi o in altre città ogni sera ci sono 700 cose, il pubblico partecipa pagando e non si lamenta, questo fa sì che i brand siano molto interessati a queste dinamiche. Noi qui abbiamo il Wind Music Award e Vasco Rossi, rispettabilissimi, ma non bastano per penetrare le periferie estreme della società.

All’estero c’è un approccio più curioso e attento, si apprezzano di più queste cose.

Comunque non possiamo pretendere di farci seguire da tutti.

E’ anche colpa di chi lavora nel settore?

Bisogna essere messi in condizione di voler eccellere, invece tutto intorno a noi ci scoraggia a voler lavorare di più e a ricercare soluzioni migliori, e te lo dice il primo critico del settore.

Mi dispiace molto che non si lavori a livello alto, ma lo capisco. Ad esempio Roma potrebbe essere il posto più bello del mondo, ma è gestita male. In generale in Italia l’industria dei concerti potrebbe fare di meglio, ma anche no, non vedo tutto questo potenziale inespresso. Vedo qualcosa che si può migliorare, ma non in un modo radicale.

– Non posso salutarti non chiedendoti questo: in questi anni qual è stata la richiesta più strana che ti è stata mai fatta da un artista?

Allora, sicuramente quella di non vedere in giro altri poster di artisti che suonavano nella stessa manifestazione. Anche senza dire il nome sicuramente alcuni hanno capito di chi stavo parlando.