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Faber Nostrum: “Per favore, non toccate De André!”

Un’operazione remake di cui non sentivamo la necessità…

Fabrizio De André è un patrimonio dell’Italia e universale, un’artista che ha raccontato la sua città,  Zena (Genova), e tante storie di emarginazione e di vita con lucida e consapevole critica. Un poeta e un maestro assoluto, che rivive ancora oggi fuori dal tempo, e straordinariamente contemporaneo, anche attraverso un filo di congiunzione tra passato e presente che lo stinge (o costringe) alla nuova “scena” musicale italiana.

E’ uscito, infatti, in questi giorni “Faber Nostrum”, un’opera il cui intento è quello di riportare alla ribalta (se mai ce ne fosse bisogno) De André attraverso la voce di tanti cantautori attuali che hanno voluto misurarsi con l’immensità, rielaborando e riproponendo in versione moderna alcuni dei più grandi successi del cantautore ligure.

A partire dalla “Smisurata preghiera” cantata da Vasco Brondi, fino ad “Inverno” reinventata dai Ministri; dalla glaciale voce di Motta in “Verranno a chiederti del nostro Amore”, fino a “Il Cantico dei Drogati”, ben interpretato da Artù. Probabilmente, questi, tra i remake più riusciti della compilation, insieme alle versioni di “Se ti tagliassero a pezzetti” e “Rimini” riviste in chiave del tutto personale rispettivamente da The Leading Guy e Fadi. Con infine un’interessante “Hotel Supramonte” riadattata con stile asciutto dai The Zen Circus. Ma se tutte queste rielaborazioni rappresentano una nota positiva, una nota dolente stona e risuona attraverso buona parte dell’album. Perché ci lasciano con l’amaro in bocca tutte le altre interpretazioni, che risultano poco curate e fastidiose all’ascolto, a partire dalla versione smart de “Il Bombarolo” di Willie Peyote, a quella svogliata di CIMINI feat Lo Stato Sociale (Canzone per l’estate), fino alle performance sottotono e deludenti di Ex-Otago, Colapesce, Canova, Gazzelle e La Municipal. Per non parlare della versione pop e scanzonata di “Fiume Sand Creek” dei Pinguini Tattici Nucleari, che stravolgono completamente il senso di una canzone drammatica che racconta il massacro dei nativi americani, trasformandola in un sound godereccio da Festivalbar.

Una caduta di stile e di rispetto, che fa riflettere su un’operazione riuscita a metà e di cui sinceramente non si sentiva la necessità. D’altronde se pensiamo a molti remake, anche a livello cinematografico, possiamo constatare che difficilmente possono essere paragonati ai capolavori originali, o raggiungere lo stesso grado di intensità e di successo.

Per carità, è probabilmente giusto voler ricordare artisti come “Faber”, per far assaporare anche alle nuove generazioni qualcosa di unico e straordinario, ma di fronte ad artisti di questo calibro (Mina, Battiato, De André, Battisti, Martini) il confronto resta sempre impietoso, ed il risultato di questa compilation – al di là dei lodevoli intenti – è quello di un’opera strampalata, con interpreti non sempre all’altezza e con molti arrangiamenti che stravolgono la vera e profonda essenza di De André.

Se si voleva creare un ponte ideale tra un gigante e la contemporaneità, la strada da percorrere doveva essere un’altra.

Voto: 4