Sono gli anni ’70: anni di piombo, anni delle grandi rivoluzioni sociali, anni di un’Italia che non mi è mai appartenuta… eh si, sono troppo giovane anche per questo. E agli stravolgimenti di forma di certo la musica non si tirava indietro. Giornalista, scrittore… un caro amico prima ancora di tutto questo: Donato Zoppo un giorno mi lascia recapitare a casa un suo libro dal titolo inequivocabile: “Caution Radiation Area”. Demetrio Stratos in copertina e quel classico carattere basilare per un titolo che non ammette ignoranza. Uno occhio alla libreria, dritto alla volta della catasta dei dischi “storici” e lo prendo con la sicurezza di chi sa cosa cercare ma con l’appiglio curioso e a tratti infantile di chi sa che incontrerà a breve qualcosa di “nuovo”. Possibile mai? Accetto la sfida e mi fingo a vestire i panni del mitico Sassi di Via Leopardi 14 a Milano. Così mi metto in ascolto leggendo di pari passo: musica e lettura in un mutuo incontrarsi, un equilibrio apparentemente precario, ricco di imprevisti, che solo alla fine si scoprirà essere stato solido e salvifico come pochi. Sono certo di aver ascoltato “Caution Radiation Area” decine e decine di volte negli ultimi tempi come son certo di averci capito davvero qualcosa soltanto ora, arrivando alla fine di questo libro. Pubblicato da Aereostella, “Caution Radiation Area – alle fonti della musica radioattiva” di Donato Zoppo ci regala un passepartout prezioso e insostituibile per aprire i tanti accessi di un mondo evanescente nella forma che prende vita dietro il delirio visionario degli Area.
Accomodatevi pure: non ci sono posti numerati ma soltanto aree radioattive immuni dalla banalità del conformismo industriale:
– Prima di tutto, in generale, cosa spinge un giornalista ad occuparsi proprio di un disco specifico?
Prima di tutto, in generale, è sempre avvincente poter entrare nella genesi di un album, focalizzarne il momento storico di ideazione e realizzazione e poi tuffarsi nel “making of”: è come scattare una fotografia e al tempo stesso osservarla, coglierne i particolari e ingrandirli, calandosi dentro pienamente. Lo avevo già fatto nel 2010 con “Amore, libertà e censura”, il mio libro su “Amore e non amore” di Lucio Battisti: fu un’indagine fantastica, immagina che bello poter intervistare quelli che c’erano, che in quel disco ci avevano suonato (Di Cioccio, Mussida, Radius etc.), riascoltandolo insieme a loro a tanti anni di distanza, ricostruendo un episodio storico. Occuparsi di un disco significa proprio questo: entrare in profondità, addentrarsi come una talpa in una fase creativa, cogliendo i segreti e l’estro del momento, ma anche la forza di un album nella sua storicizzazione a tanti anni di distanza.
– E quindi a questo perché proprio “Caution Radiation Area”?
È stata una proposta dell’editore, immediatamente accettata! Anche perché gli Area sono tuttora qualcosa di unico, erano inimitabili negli anni ’70 e restano irripetibili, insomma era una proposta troppo allettante, soprattutto con la prospettiva di infilarsi in un disco difficile, ostico, poco celebrato, insomma radioattivo…
– Analizzi moltissimo il contesto sociale di quegli anni… quindi secondo te il senso primo degli Area va ricercato proprio tra le righe di quel momento storico oppure Demetrio Stratos e compagni possono definirsi indipendenti dal tempo e dalle mode che vivevano?
No, gli Area erano in tutto e per tutto figli del contesto storico, geografico, politico e culturale degli anni ’70 italiani. Attenzione però: secondo me non ne erano un prodotto “istituzionale”, la loro capacità critica, di lettura/rilettura/contestazione degli umori di quel periodo li rese solo in apparenza rappresentanti del movimento, in realtà erano davvero una cosa a sè, impossibile da categorizzare e da definire con un’etichetta. Riuscirono ad assorbire in pieno e a rilasciare con spirito corrosivo le tensioni, le istanze, le pratiche della politica radicale dell’epoca, immaginando un laboratorio in cui musica, controcultura, avanguardie del 900, immagine e filosofia potessero convivere, non necessariamente in modo pacifico. Proprio per questo è impossibile trovare eredi degli Area o ipotizzare un ritorno “autentico” del gruppo…
– Per parlarci di “Caution Radiation Area” ci introduci ovviamente l’immediato passato, l’esordio loro e della Cramps. Del futuro solo pochissimi accenni. Come a dire che questo disco è rimasto fine a se stesso e non ha procurato corollari e sviluppi nel proseguo della storia?
Ho avuto modo di intervistare a lungo e approfonditamente Paolo Tofani, Ares Tavolazzi e Patrizio Fariselli: per il primo “Caution” è stato il primo importante contributo da autore (quando era entrato negli Area “Arbeit Macht Frei” era già stato composto), per il secondo è il debutto con Demetrio e compagni, per il terzo è “il” disco degli Area, quello in cui parte un progetto meditato di rifiuto del consenso e di autentica musica radicale. Insomma “Caution” è profondamente amato dagli Area, un po’ di meno dal pubblico, che ricorda con piacere “Cometa Rossa” ma spesso ha difficoltà con i quattro brani più ostici che seguono. Non direi sia rimasto fine a se stesso perché ha segnato alcune direzioni forti che gli Area avrebbero intrapreso (ad es. il concept futuribile di “Maledetti” a mio avviso è figlio di alcune riflessioni sul potere di “Caution”).
– Hai pensato quindi di affrontare lo studio e il racconto dei successivi capitoli?
Mi piacerebbe molto, anche se ho altri desideri attualmente. Visto che sei tu, ti faccio una piccola confidenza: mi piacerebbe scrivere qualcosa su Van Morrison, Santana, Joan Armatrading, CSI, Led Zeppelin, Iron & Wine e altri vecchi amori che spero di approfondire presto…
– L’elettronica di Tofani era una grandissima elettronica, studiata, cablata, cercata e inventata. Oggi serve solo un computer e neanche più i fili dato che si può fare tutto wireless. Ti senti di consigliare la musica degli Area come iniziazione a tutti coloro che oggi vogliono fare elettronica oppure stiamo parlando di cose assolutamente scorrelate?
Tofani, che ancora oggi è considerato “l’anima elettronica degli Area”, è un esempio incredibile di musicista con la mente spalancata all’imprevisto, alla ricerca, alla rottura e alla ricostruzione (e alla rottura di nuovo, and so on…). L’elettronica era solo una parte – una parte importante, sia chiaro – della ricetta Area: ad esempio in “Caution” ci fu il caso pazzesco di “Lobotomia”, un brano elettronico che aveva in sé una chiave concettuale incredibilmente attuale, legata alla persuasione occulta dei mezzi di comunicazione, alle influenze sul cervello, alle possibilità di reazione ai diktat del mezzo televisivo, che per essere capito (oppure rifiutato e contestato) doveva essere assaporato (o subìto) dal vivo. È per questo che consiglierei gli Area a chi pratica elettronica e non solo: sono un esempio altissimo di musica mai scollegata dalla realtà.
– Come detto più volte ci racconti della loro attualità politica e sociale. Ma anche spessissimo del loro eterno sfidare il pubblico spesso del tutto impreparato alla musica che andava in scena. In questo lungo percorso non hai avuto la sensazione che ancora oggi, anche tra i più “facili professori”, ci sia ancora poca comprensione della musica che hanno composto gli Area?
Quando scrivevo questo libro, ma anche quando mi capitava di leggere altri testi sugli Area (penso agli ottimi Coduto, Marino, Oleari, Chiriacò, Trambusti), avevo la sensazione che gli Area potessero essere compresi solo dai loro membri. Non voglio dire che facessero musica autoreferenziale però si trattò di un’esperienza talmente sui generis, così complessa, spinosa e articolata da poter essere compresa e raccontata solo da chi c’era, e c’era dentro, tutto quanto. Probabilmente ci vorrebbe un team di autori che possano affrontare la materia da diversi punti di vista, senza però dimenticare l’elemento più importante: la memoria dei protagonisti, che con notevole lucidità e passione offrono ancora dei punti di vista stimolanti.
– Domandona finale da un milione di dollari: se fossero nati oggi? Che storia pensi si potrebbe raccontare e perché?
Oggi non potrebbero mai nascere gli Area. Chi fa il mio mestiere ha la possibilità e la fortuna di seguire un po’ tutto il mondo musicale e sa benissimo che da una parte ci sono grandi opportunità offerte dalla tecnologia e dall’allargamento della conoscenza, ma dall’altra un drammatico appiattimento, una inevitabile adesione ai generi, cosa che gli Area hanno sempre e costantemente rifuggito. Qualcuno, più di una volta, ha suggerito che Elio e le Storie Tese potrebbero essere i nuovi Area: per quanto ami questa band, non credo ci siano paragoni, basta pensare al rapporto con i mass media e con la gestione del consenso, che nel caso degli Area era coraggioso, caustico, radicale.
P.T.