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BAUSTELLE, Pescara conquistata da L’AMORE e la VIOLENZA

Un concerto di rara bellezza dei Baustelle al Teatro Massimo di Pescara

Cosa mi sposterà da questo stato di anestesia? Mi ha colpito la frase di Siddhartha Mukherjee in un articolo sul New Yorker di qualche giorno fa. Ieri sera ci sono riusciti i Baustelle, al Teatro Massimo di Pescara, con un concerto di rara bellezza: unica pecca è stata l’essere costretti  alle poltroncine del teatro, dato che i Baustelle meritano salti, movimento e grida.

Il palco è uno spettacolo, un’estasi da alba elettronica, tanto vintage quanto post umana, Kurzweil ha scritto: “La gente vive nei nostri ricordi, e nelle opere creative che si lasciano alle spalle” e il concerto è proprio così: un insieme di volti, nomi, città che Francesco, Rachele e Claudio hanno messo insieme nel corso della loro carriera.

Un grande libro diviso in due parti, così si presenta L’Amore e La Violenza Tour. La prima parte dedicata al nuovo lavoro, molto curata nei suoni e impeccabile da ogni punto di vista, nella seconda sezione, che inizia dopo una piccola pausa, viene dato spazio ai vecchi pezzi, quasi tutti completamente rielaborati con grande intelligenza musicale.

C’è anche posto per “Veronica numero 2”, brano ancora pubblicato dal gruppo, ma che ormai è un piccolo simbolo di questo tour, tant’è che dal pubblico più volte il pezzo è stato chiamato. Veronica è una donna, come la protagonista de La Guerra è Finita o come la Ragazzina del brano dedicato da Bianconi alla figlia. Il live gira costantemente intorno a donne, vita e morte. Anche le storie più vecchie riprendono vita nei mellotron e nei sintetizzatori, come a testimoniare un transumanismo totale dei vecchi pezzi, che si sono spostati su memorie analogiche e digitali.

La provocazione di Bianconi a metà concerto nel presentare il gruppo è quella di definire i Baustelle come: “Snob, citazionisti e pessimisti”, riprendendo le critiche più comuni e insensate che nel corso degli anni sono state mosse al trio. Le parole hanno un peso profondo nella loro musica, che a tratti sembra contornata da un alone mistico; i testi assumono, anche quelli più vecchi, una sacralità profonda sul palco. Lo stage  è come un immenso altare di neon e amplificatori.

Quando per la terza volta il gruppo è riapparso, l’atmosfera, saranno i libri di fantascienza e la passione per Kubrick, è sembrata da arrivo del “monolite nero”. Tutti erano in adorazione e aspettavano un altro pezzo per vivere ancora e sperare di non ricadere nel clima anestetico della città.

Le emozioni provate durante il live non sono da blockbuster hollywoodiani, sono genuine e sfumate, di tanti colori e canzoni.

Gianluigi Marsibilio | Foto di Copertina: Simone Peronaci