Si è svolta dal 12 al 14 settembre la seconda edizione di BalDoria, la manifestazione musicale gratuita tenutasi nella caratteristica cornice del Palazzo Doria Pamphili, storica residenza nobiliare di Valmontone, cittadina alle porte di Roma. Dopo il grande successo dello scorso anno, l’evento ha confermato un caloroso riscontro e un grande seguito di pubblico accorso dai tanti paesi limitrofi oltre che dalla Capitale.
Tre serate ricche di musica nelle quali si sono alternate le migliori band emergenti incontrando gusti e tendenze di un uditorio interessato e partecipe, che ha dimostrato di saper apprezzare le buone iniziative e in grado di sviluppare curiosità ed entusiasmo per nuove realtà musicali. Una location d’eccezione, suggestiva nella sua provincialità, nella quale si sono alternati gruppi diversi per stili e provenienza ma tutti accomunati da uno spirito di liberà, dalla volontà di fare musica senza vincoli e restrizioni, mettendosi al servizio del pubblico, erogando energia in presa diretta come solo le piccole piazze possono fare, in un’osmosi adrenalinica e circolare.
Ad aprire la kermesse sono stati, venerdì sera, gli Anthony’s Vinyls fervida band della stessa città che ha accolto l’iniziativa BalDoria composta da Massimiliano Mattia (voce), Matteo Leone (chitarra), Luca Palazzi (basso) e Matteo Lanna (batteria); il gruppo, nato nel 2010, vanta già un certo numero di importanti palchi calcati come Alpheus, Contestaccio, Circolo degli Illuminati, Mads.
Integrati nel movimento indie romano, sono finalisti nel 2011 al Marte Live e al Giuliano Rock Festival e, nello stesso anno, pubblicano il loro primo Ep, 5 Points & 70 Euros. Il secondo disco esce nel dicembre del 2013, con il titolo Like a Fish.
Radici indie e pop, fino alle influenze dance, gli Anthony’s Vinils si muovono tra generi diversi ma sempre con una chiara impronta personale, con testi inglesi che contribuiscono al dinamismo e alla vitalità della band.
La prima serata, poi, è stata chiusa dagli ormai affermati Kutso il gruppo romano formato da Matteo Gabbianelli, Donatello Giorgi, Luca Amendola e Simone Bravi i quali hanno animato ed aizzato la piazza con performance esilaranti e istrioniche interazioni con il pubblico «tra», per usare le loro parole, «teatro canzone e un istinto più razionale come Iggy Pop. Tra punk e cantautorato, in una direzione un po’ sgangherata».
Primi protagonisti di sabato 13, sono stati gli IFM, eclettici e dinamici, non si riconoscono in un genere preciso ma sono sempre in continua sperimentazione ed evoluzione, indefiniti fin dal nome, come dimostra la loro pirandelliana auto definizione alla “Così è se vi pare”: «all’inizio significava qualcosa in particolare, che non diciamo poi è diventato molte cose, che non diciamo lo stesso. Significa quello che per voi significa».
È la volta poi del cantautore Galoni, al secolo Emanuele Galoni, classe 1981 della provincia di Latina. Attento all’attualità e alla situazione sociale, parte sempre dall’analisi della quotidianità, con realismo disincantato e speranze oniriche allo stesso tempo, rassegnazione alla monotonia ma anche surrealismo e vitalità.
La terza e ultima serata ha ospitato due band particolari e promettenti: la prima è stata quella dei Bamboo, attiva dal 2008 formata dai cinque musicisti romani che riproducono suoni e note senza l’utilizzo dei canonici strumenti ma tramite oggetti di fortuna tratti dalla vita quotidiana, sottratti all’utilità pratica e piegati alla creazione sonora. Con maestria ed ingegno, riescono a rendere i sound drum, bass e numerose sfumature originali la cui provenienza è spesso difficile da cogliere se non si sta osservando l’oggetto da cui sono prodotti: «siamo un gruppo da vedere per essere capiti», hanno affermato recentemente. Tra elettrodomestici e bidoni, tubi, giocattoli, acqua, realizzano un’avvincente armonia fonica, articolata e variegata, intensa e crescente che rapisce e stordisce nel tentativo di individuare di volta in volta l’origine di una percussione o di uno stridore, di un trillo o di un fruscio.
A chiusura del festival i Boxerin Club, la giovanissima formazione capitolina composta da Matteo Iacobis, Matteo Domenichelli, Francesco Aprili, Gabriele Iacobini, Edoardo Impedovo; il gruppo ha dimostrato grinta e tenuta di scena: in una perfetta commistione di rock, pop, hardsound, internazionalismo, riff vagamente afro e grande verve. Promettono bene i cinque ragazzi, come ha dimostrato il disco di esordio Aloha Krakatoa, uscito lo scorso gennaio dopo aver collezionato già parecchi traguardi come il sold out del primo Ep nel 2012, la vittoria di Arezzo Wave Festival nel 2013, l’esibizione, sempre lo scorso anno, al Music Italy Show e al CMJ Music Marathon di New York.
Una manifestazione ricca e gratuita, a dimostrazione che l’arte può essere sostenuta, in particolare quella emergente che dovrebbe essere sempre valorizzata e stimolata perché rappresenta il futuro, con tutte le speranze e i propositi che vi si possono riporre. Forse è proprio dalle piccole piazze che si dovrebbe partire, dai giovani promettenti che credono in ciò che fanno, che sperimentano e creano; è da qui che si deve e si può promuovere sempre e solo musica buona.
Sabrina Pellegrini