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“Sottovoce, ti dissi: Tienimi il posto”. Intervista esclusiva ad Erica Mou

Sull’amore, credo di non aver capito nulla. Forse canto per questo motivo, per cercare di capirlo veramente. Quando avrò trovato tutte le certezze che mi mancano smetterò di scrivere canzoni. Mi viene in mente una frase che cito spesso nei miei concerti, è di Alda Merini: A volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire

Sottovoce, ti dissi: Tienimi il posto.

Quando finisco un concerto desidererei rivolgermi alla gente e dire loro: “tutto quello che avete ascoltato fino adesso è assolutamente falso, così come sono assolutamente veri gli ideali e i sentimenti che mi hanno portato a scrivere queste cose e a cantarle”. Così parlava Fabrizio De André, un grande cantautore italiano, amava e credeva che con gli ideali e con i sentimenti si costruiscono “realtà sognate”.
In questa giungla di abitudini, servirebbe una maschera di plastica, per ripararsi il volto, riuscire a farsi largo…
Le parole di Erica Mou, nome d’arte di Erica Musci, servono a raccontare frammenti di vita quotidiana, momenti vissuti quando ci innamoriamo, una voce narrante segue le resistenze, le paure, il groviglio di pensieri, spesso non salutari per la nostra mente; ci impediscono di vivere il presente, l’ansia di gesti troppo studiati, maschere in musica che spesso non comprendono come Amarsi è muoversi l’uno verso l’altro, prendere coraggio per perdere l’equilibrio e cadere sull’altra metà; affidarsi all’altro.
Cadi su di me, senza paura di ogni gesto, fallo adesso.
Adesso, come il titolo del brano scritto insieme a Chiara Gamberale, una scrittura che dal pentagramma diviene romanzo.
Dal tacco dello stivale italiano, si fa largo “Sottovoce”, la ragazza di Bisceglie, che già a diciassette anni si proponeva con le sue composizioni, ai maggiori concorsi di canzone d’autore italiani.
Le ballate romantiche di Erica Mou, hanno sfumature folk, il suo canto vuol essere un bisbigliare, un ritorno alla semplicità, un crescendo acustico che ti emoziona, ti avvolge senza stordirti, senza mai essere banali, pur parlando di ciò che più tutti desideriamo: l’amore.
Pretendere di dare alla gente attraverso una canzone qualcosa di più del sorriso, seppur amaro, è pura illusione, diceva Rino Gaetano, cantautore spesso controcorrente, nelle canzoni di Erica Mou riesci a concentrarti sulle parole, come se fossero scandite ed amplificate dal suo timbro vocale, per regalarti una carezza, forse anche amara ma consapevole e desiderosa di vivere ogni momento. Originale e malinconica, e se spesso tra gli ascoltatori e gli amanti della musica è comune il “non se ne può più”; criticando, forse l’eccessiva omologazione di contenuti, una donna del Sud, trasferitasi ora a Roma, non pretende di essere popolare ma di comunicare un suo stile, minimalista e sofisticata la sua maschera, poliedrica artista che si rivolge al teatro, senza redimersi dalle critiche, che comunque, confermano la precoce maturità artistica. Il prestigioso supporto iniziale di Caterina Caselli, e la scelta di ripresentarsi con un nuovo gruppo Jazz Engine, denotano il suo carattere.
C’è chi, come Paolo Trolio, dipinge emozioni tradotte in vibranti figurazioni plastiche, in genere maschili, totalmente spoglie di qualsiasi logo o oggetto, usa semplicemente le dita e per Erica Mou ha dipinto una magnifica tela, un’opera d’arte che diviene copertina grafica del suo recente album: “Tienimi il posto”.
All centro una donna sospesa, una sedia lasciata libera, gli elementi usati dal grande artista per riprodurre in immagine il contemporaneo senso di caduta e di volo emerso ascoltando le canzoni di Erica Mou.

Qubemusic, incontra la giovane cantautrice, attualmente impegnata nel tour italiano.

– Credi di aver usato sempre le parole giuste? In quale occasione, artisticamente, tornando indietro credi di aver sbagliato?

Chi scrive, ha l’ansia di ricercare le parole giuste, quelle che non ci fanno essere banali, per esprimere un concetto fino in fondo, che va filtrato al punto giusto e che possa rispettare la nostra personalità; l’ansia di ricercare quel tipo di comunicazione, la forma più adatta; io spesso sono vittima di questo modo di pensare, il tempo di preparazione di una canzone, le parole giuste non devono essere formalità, ma come una ricerca che va oltre la musica, che fa parte della vita di ognuno di noi, cercare, cioè di essere il più possibile puri. Ci deve essere un coinvolgimento emotivo, ecco.
La sincerità, alla base di tutto, anche se nel mostrarsi può emergere una debolezza, il mio percorso è frutto di questa presa di coscienza, nel mio piccolo credo che non ci sia nulla di male nel mostrarsi sbagliati.

– Spesso i tuoi brani vengono utilizzati come colonna sonora di film, penso alla collaborazione con Rocco Papaleo, oppure il duetto con Raphael Gualazzi su “Time for my prayers”diventa colonna sonora di “Un ragazzo d’oro” di Pupi Avati, “La bugia bianca” canzone per l’omonimo film di Giovanni Virgilio; quali sono i punti di forza indispensabili che convincono un regista a scegliere una tua traccia come colonna sonora? Quando ti risenti al cinema, avverti uno stravolgimento al messaggio originale che con la canzone volevi esprimere? Oppure scrivi pensando alle regole della drammaturgia cinematografica?

Dipende, ad esempio con Giovanni Virgilio è successo che io abbia scritto il brano, dopo aver letto il copione, ho scritto pensando ad una mia esperienza personale, ma conoscevo le dinamiche del film, ho quindi cucito le mie parole e completato il brano preoccupandomi della trama cinematografica; invece Rocco Papaleo in chiusura del suo film ha creduto che il mio brano fosse adatto per ciò che cinematograficamente si stava raccontando, le storie del film sono accompagnate da una musica che segue il ritmo della sceneggiatura, i personaggi con il loro ristrutturarsi, un po’ come si vede nel film con il faro abbandonato. Io, penso che le idee sono veramente nell’aria, ci sono incontri che generano collaborazioni dove le cose si sposano in modo naturale, scrivo molto parlando di storie concrete, e spesso ciò che pensavi ti fa sentire vicina ad altre raccontante con le immagini del cinema, nella mia vita queste immagini mi sono venute a cercare, nel mio scrivere c’è la quotidianità fatta di piccole cose.
Amo il cinema e spero ci sia sempre questa contaminazione di idee e linguaggi. Quando vado al cinema non vedo uno stravolgimento della mia storia, ma viene dato un accento diverso, anche chi ascolterà il mio brano avrà una sua libera interpretazione che sarà poi frutto di altre immagini.
Non amo risentirmi in genere, sono molto critica con me stessa, al cinema mi capita di ascoltarmi con piacere perché è una cosa nuova, è un onore. Ad esempio, quando suoni un pezzo live, cambia la stanza, cambiano gli occhi di chi ti osserva, hai un vestito diverso ogni sera, il tuo umore, sarà per questo che amo cantare dal vivo, e inevitabilmente le tue esibizioni hanno un sapore sempre diverso, in fondo la canzone ha sempre qualcosa di nuovo da dare.

– Sul tuo blog scrivi: “Un anno e mezzo fa ho avuto un problema alle corde vocali che mi ha purtroppo accompagnata per tutto il tour di Contro Le Onde…. nell’ultimo mese non ho fiatato; ho pensato a mia madre, a me, all’amore, alla sofferenza, alle separazioni, alla mia musica, a quello che negli anni ho voluto mostrare di me e ciò che ho tenuto nascosto. Oggi, con “Tienimi il posto” vuoi più mostrarti o nasconderti?

Sicuramente, mostrare. Con “Tienimi il posto” il messaggio per certi versi diviene spudorato, già lo facevo, però con questo disco , ho capito di più cosa avevo cercato di filtrare nel dire, ho cercato di togliere questi filtri, intesi, come sovrastrutture, ho imparato a dire i miei fatti senza ritegno ( sorride ); ne ho sentito la necessità, mi ha fatto stare bene come le cose che sto scrivendo adesso sono il frutto di questa liberazione. Posso dire, oggi, che il problema alle corde vocali, è stato come una fortuna, anche se a livello personale è stata dura, sai , io studio musica dall’età di cinque anni, per me la musica è tutto, nel momento in cui ne sono stata privata, il silenzio forzato, mi ha fatto credere che potevo vivere anche senza cantare, circondata sempre dall’affetto della mia famiglia, ho capito che nessuno mi impediva di scrivere i miei pensieri, potevo comunque esprimermi in altro modo, la consapevolezza mi ha dato la forza di vedere oltre , quando ho ripreso, ho amato ancora di più farlo, perché ho capito da questa esperienza che non cantavo perché era la mia unica possibilità, ma perché è una possibilità che voglio.
Riacquistare un qualcosa che per un momento ti è stato tolto, improvvisamente capisci che tutte le cose che noi amiamo non sono indispensabili.

– E tutto ciò che credevo indispensabile non è altro che abitudine, i ricordi si truccano ma non quelli come te, ( la traccia “Indispensabile”); cosa è veramente indispensabile oggi per fare musica?

Eh, un po’ ridondante il discorso che stiamo facendo, sicuramente la sincerità come dicevamo prima; una necessità di comunicazione sincera. Fortunatamente, adesso ci sono tante persone che fanno musica, rispetto ad un tempo c’è una maggiore consapevolezza su arte e cultura. Prima, poteva forse essere considerato disdicevole fare un mestiere che rientrava nell’ambito artistico. Devi avere qualcosa da dire, io canto soprattutto perché voglio dire qualcosa; quando mi capiterà di non avere più nulla da dire , proverò a stare zitta. Dunque, è indispensabile sentire l’esigenza di comunicare.

– A soli 25 anni, hai già all’attivo un’intensissima attività live (in Italia ma anche in Brasile, Stati Uniti, Ungheria, Inghilterra, Germania, Belgio, Francia). Puoi raccontarci di più su questa esperienza, quali stimoli ti ha dato? Credi di scrivere in futuro in altre lingue, oltre l’italiano ? Se si, perché ?

Ho fatto viaggi, un tour come da te citato, in periodi differenti, posso garantirti che suonare all’estero è un’esperienza unica, poi mi sono divertita da morire; ho visto posti bellissimi che mi hanno fatto riflettere, viaggiare è una parte importante per chi, come me, cerca di scrivere, è fonte di ispirazione.
La diversità culturale, ogni volta tornando a casa, mi rendevo conto di quanto fosse emozionante suonare per gente che non ti conosceva del tutto, non ho poi un pubblico così vasto; devi conquistarli però, hai un ora e mezza di tempo per convincerli, mettersi in gioco, il potere della musica va molto oltre quelle “famose” parole giuste. Uno si fa mille problemi per scegliere come legare quella parola al suono, mi preoccupo della forma, facendomi anche tante paranoie , eppure anche cantando in italiano sono convinta che il messaggio ha la giusta forza per essere accolto. L’italiano è una lingua straordinaria, è sicuramente meno leggera di altre lingue, è compito dell’artista dare la giusta interpretazione, scegliendo sempre di conferire alla parole la necessaria profondità.
All’estero, forse ci sarà una ricerca più approfondita sul suono, magari senza particolari giochi linguistici o di metrica; le più grandi rivoluzioni, musicalmente parlando, provengono più dall’estero che da noi.

– Usa le bugie per disegnarmi e riconoscermi… come se fossero netti… Ma sono vaghi i miei contorni… (traccia numero quattro “Niente di niente”); 
Quanto l’artista Mou è immagine speculare di Erica Musci?

Mi verrebbe da dire per niente, ma sono la stessa persona, per alcune cose avere un nome d’arte è come una salvezza, perché c’è una parte di te che preservi, ( la mia casa, i miei affetti ecc.) dal personaggio cantante.

– Senza la musica per decoralo, il tempo, come sarebbe ?

Il mio tempo sarebbe sicuramente più silenzioso; potrei concentrami ed applicarmi di più in cucina, dato che non sono molto brava ( ride ).

– La compassione come essenza di ogni amore e solidarietà, la passione amorosa ci attira dentro una spirale di sofferenza, l’amore per Erica Mou si racconta come un’illusione?
Quale filosofo o saggio ha influenzato i tuoi pensieri su questo tema?

Sull’amore, credo di non aver capito nulla. Forse canto per questo motivo, per cercare di capirlo veramente. Quando avrò trovato tutte le certezze che mi mancano smetterò di scrivere canzoni. Mi viene in mente una frase che cito spesso nei miei concerti, è di Alda Merini: A volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire.
Ma anche con Chiara Gamberale, autrice di molti romanzi, pieni di riflessione sull’amore, io ero una sua fan, poi ho avuto il piacere di collaborare anche con lei, che come tutti sta cercando di orientarsi in questo mondo infinito.

– Dalla filosofia alla realtà discografica italiana, tra indipendenti che spesso vengono classificati come una nicchia da custodire, ed altri che investono per vendere; con quale collega vorresti condividere la tua musica, a quale artista, cantautore italiano o straniero ti senti legata?

Nell’ultimo anno ho avuto la fortuna di incontrare molti artisti, anche miei coetanei, così da conoscere anche altre bellissime idee, mi riferisco in particolare a Zibba, Diodato, Colapesce. Ci sono sicuramente dei punti di riferimento, come Emiliana Torrini, una cantautrice islandese che adoro, pensa che uso spesso alcuni suoi pezzi in apertura e chiusura del mio concerto, sono felice quando mi chiedono di lei, è molto acustica.

Matt Dragà | Foto: Giusy Chiumenti