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Gli Ustmamò tornano a distanza di dieci anni con il nuovo “Duty Free Rockets”. L’intervista

Gli Ustmamò tornano dopo più di dieci anni con un disco di inediti in inglese, “Duty Free Rockets”, dalle sonorità taglienti che vanno dal rock al blues, passando per il country

Gli Ustmamò tornano dopo più di dieci anni con un disco di inediti in inglese, “Duty Free Rockets”, dalle sonorità taglienti che vanno dal rock al blues, passando per il country. Un disco nato dalla irrefrenabile voglia di suonare, nonostante sia passato un bel po’ di tempo e molte cose siano cambiate da quel 1991 in cui tutto iniziò. Oggi gli Ustmamò sono: Luca Alfonso Rossi e Simone Filippi.

– Gli Ustmamò annunciano la loro reunion ufficiale, dopo un decennio, la mezzanotte del 24 dicembre 2014: ironia del destino o c’è dell’altro?
Non ci crederai, ma è stato davvero un caso. Il nostro discografico, che nella vita fa un altro lavoro e che quindi si dedica all’etichetta appena può, quando lavora per noi lo fa molto spesso di notte: evidentemente quando ha pubblicato nel web la notizia, è probabile che avesse proprio perso la cognizione del tempo! Quindi no, niente significati mistici, semplice mancanza di tempo diurno.

– La copertina del vostro disco è in parte discrepante rispetto al suo contenuto: come mai questa scelta?
In realtà sarebbe dovuta essere, all’inizio, una copertina con sfondo western, poi invece è diventata una foto che effettivamente richiama dei toni bellici che non caratterizzano in toto il disco, anche se il titolo allude alla guerra. Però è altrettanto vero che di guerra parliamo in due canzoni, e forse questo ha preso il sopravvento, alla fine.

– Com’è nato Duty Free Rockets?
È nato per dare sfogo alla nostra voglia di suonare e soprattutto di mettere insieme tutte queste canzoni che avevamo nel cassetto nate molto spontaneamente nel tempo e registrate altrettanto naturalmente, volendo mantenere tutte le imperfezioni che le caratterizzano e che volutamente abbiamo lasciato. Una concezione di produzione totalmente diversa dai nostri precedenti dischi, molto più controllati sotto questo punto di vista.

– Giovanni Lindo Ferretti ha dichiarato: “Da tre settimane ascolto il disco di Luca, mi ha fatto innervosire molto per l’inglese e perché non c’è la voce di Mara. Poi mi ha fatto sorridere, perché mi sto abituando alla sua voce”. Probabilmente questa è stata anche la reazione di una parte dei vostri fan, vi siete mai posti il problema?
Per quanto riguarda Giovanni siamo onoratissimi che abbia ascoltato il disco perché lui non ascolta mai nulla. Così come sono contento che lo abbiano ascoltato Ezio e Mara, ai quali è piaciuto molto, e questo mi rende davvero felice. Per quanto riguarda i nostri fan, siamo perfettamente consapevoli di aver attuato un bel cambiamento, ma è altrettanto vero che abbiamo ricevuto così tanti attestati di stima per questo disco che ci hanno fatto capire che è un lavoro ovviamente molto diverso dagli altri, soprattutto per l’assenza della cantante, ma che comunque è stato apprezzato e questo per noi è l’importante.

– Voi iniziate la vostra carriera negli anni novanta, periodo molto diverso da oggi, musicalmente parlando. C’è qualcosa che vi manca?
Ci manca la musica ascoltata con le cassette e cioè proprio il modo di fruire la musica di una volta, che fa la differenza. Manca il fatto che si suonava sicuramente di più rispetto ad oggi, anche se non eri nessuno suonavi lo stesso, attualmente non è così. Prima avevi la certezza di un tour da maggio a settembre, ora sei fortunato a sapere dove e quando suonerai il lunedì per il venerdì. Paradossalmente c’erano più certezze vent’anni fa sotto questo punto di vista.

– Il pezzo che avreste voluto scrivere?
Tutti quelli di Dylan, qualcosa di Prince e (I can’t get no) satisfaction dei Rolling Stones.

– Con quale musicista del passato vi sarebbe piaciuto condividere un palco?
Jimi Hendrix e Bob Marley.

– Tre aggettivi con cui autorecensite il vostro album?
Istintivo, genuino e sincero.

– Dove vi piace suonare maggiormente?
Ci piacciono i posti con i palchi bassi e la gente vicino al palco. Preferiamo i posti in cui il pubblico possa sentire bene i suoni degli strumenti. Posti da duecento persone insomma, che tra l’altro sono anche i posti in cui generalmente abbiamo visto i concerti più belli della nostra vita, tipo quello dei Calexico una quindicina di anni fa.

– I concerti più memorabili che avete visto nella vostra vita?
James Brown, David Bowie, Police, U2 e CCCP.

Francesca Amodio