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Da SIAE a Soundreef: scopri come cambia il mercato dei diritti d’autore

Della SIAE e del suo monopolio si sa e si è detto veramente un po’ tutto, tanto che ci pare inutile e ridondate sviscerare ulteriormente pregi e difatti di quello che, da sempre, è da considerarsi il gigante della salvaguardia dei diritti d’autore.

Ciò che vogliamo, invece, indagare in questo articolo è la repentina ascesa del fenomeno Soundreef che, di fatto, sta scardinando la posizione di dominanza della SIAE dopo appena 4 anni dalla sua introduzione nel nostro paese.

Soundreef inizia, difatti, ad operare in Italia all’inizio del 2014 ed oggi, dopo le promesse governative di fine 2017 relative all’annullamento dell’esclusiva sul copyright – garantita appunto in Italia dal 1941 alla Società Autori ed Editori – si auto legittima annunciando ufficialmente di affidare, d’ora in avanti, la riscossione del copyright per i suoi artisti ad una neonata associazione non profit (la LEA, acronimo di Liberi Editori Autori) costituita, appunto, da una serie di autori, editori e professionisti italiani del settore musicale.

Fatta la legge trovato l’inganno, quindi. Il tutto, in barba alla nuova legge nazionale che ha si spalancato le porte del mercato dei diritti alle sole società di raccolta senza scopo di lucro escludendo, però, quelle private “for profit”, come per  l’appunto Soundreef che, in questo modo, s’infila però nelle pieghe normative concesse dall’articolo 19 del D.F. collegato alla Legge di Stabilità 2018.

Immaginabili e prevedibili, gli immediati effetti a cascata fra i professionisti del settore. A cominciare da quel Fedez che, enfatizzando romanticamente una schiacciante e netta vittoria di Davide contro Golia, ha agito da vero a proprio apripista abbandonando per primo la SIAE già lo scorso anno, annunciando di aver ceduto la gestione dei diritti della sua casa editrice (la Zedef n.d.r) a Soundreef.

Dopo di lui: Gigi D’Alessio, Nesli, Fabio Rovazzi… ed è storia recente, questa… anche J-Ax, i 99 Posse ed Enrico Ruggeri, solo per citarne alcuni.

Senza contare che, la scorsa edizione del Festival di Sanremo (la 67ª, per la precisione) ha visto la partecipazione di ben 5 artisti targati Soundreef.

Cerchiamo ora, per completezza, di chiarire (e chiarirci, soprattutto) l’operato di questa startup, in termini di operatività legale: in poche parole, Soundreef, raccoglie la tua musica e la propone come musica d’ambiente ad esempio negli esercizi commerciali, e attraverso un importante sistema di monitoraggio, analizza ogni singolo passaggio “radiofonico” contabilizzandolo così da permettere all’autore del brano di poter recuperare la spettante royalty.

Prima ed importante novità è che, a differenza della SIAE, l’adesione a Soundreef da parte di autori, editori ed etichette discografiche è totalmente gratuita e, soprattutto, non esclusiva.

Al momento dell’iscrizione l’artista, l’editore o anche l’etichetta discografica, crea un account da cui può gestire e controllare in maniera autonoma, rapida ma soprattutto analitica i propri diritti e da cui può indagare lo storico dei concerti, il numero di pezzi suonati e, quindi, contabilizzare i relativi proventi maturati.

Unica nonché imprescindibile condizione, è la qualità dei pezzi proposti che, chiaramente, dovranno essere sottoposti preventivamente all’insindacabile vaglio di un “supervisore”, cui sarà affidato il compito di valutarne il possibile inserimento nel catalogo che, attualmente, si aggira intorno agli 11.000 autori. Brani inediti e perciò esclusivi. Il tutto, nel rispetto di quegli imprescindibili imperativi di tecnologia e trasparenza tanto cari a Davide D’Atri, fondatore di Soundreef S.p.A.

Rivoluzione, insomma. Da intendersi in quell’ottica di “liberalizzazione” che non poteva, di fatto, non coinvolgere prima o poi il mercato discografico italiano.

Rimangono certamente molte le incognite alla base della piena operatività di LEA ma certo è che, attraverso questo sistema, Soundreef ha vinto quantomeno la sua personale battaglia in vista dello scontro finale e, ciò, gettando le basi per operare legittimamente anche nel nostro paese.

Noi di Qube Music abbiamo tentato di districare questa matassa che, a ben guardare, appare ora un po’ meno complessa e certamente stimolante per quanti abbiano facoltà di essere annoverati fra i cosiddetti “addetti ai lavori”.

Bruno Pecchioli